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Cosa può fare una coalizione? L’intervento di Redacta a Bookpride

11 Marzo 2022 Eventi, Lavoro

Domenica 6 marzo 2022, a quasi tre anni dalla sua nascita, Redacta è stata per la prima volta ospite a Bookpride, la fiera dell’editoria indipendente promossa annualmente da Adei (Associazione degli Editori Indipendenti) a Milano. Si è parlato di coalizioni nel mondo del libro e di lavoro editoriale. Sul palco con Redacta, rappresentata da Giulia Carini, l’editore Giulio Perrone per Adei, Marina Pugliano di Strade (Sezione traduttori editoriali – Slc Cgil) e Nadeesha Uyangoda, giornalista e scrittrice. Riportiamo la sbobinatura dell’intervento di Giulia Carini.

Redacta è nata nel 2019 all’interno di Acta, l’associazione dei freelance che da diciott’anni si batte per i diritti dei liberi professionisti, e questo non è una caso. Quello che interessa a noi freelance dell’editoria è anzitutto ottenere una remunerazione adeguata che ci permetta di essere “indipendenti” appunto. Di questo stiamo parlando oggi, no? Di indipendenza professionale e dunque necessariamente di indipendenza economica.

Dall’interno di Acta, dopo alcuni anni trascorsi a lavorare nel settore, di fronte a diversi problemi che ci sembravano irrisolvibili, ci siamo detti: proviamo a parlarci tra di noi. La prima cosa che abbiamo fatto è stata organizzare una serie di riunioni aperte al pubblico, in ognuna delle quali abbiamo trovato (e troviamo ancora) tanti tipi di lavoratori e lavoratrici, dai 25 ai 55 anni, che lavorano in partita iva, diritto d’autore, con prestazione occasionale, per studi editoriali o come dipendenti per le case editrici. E spesso anche persone che fanno lavori diversi, alcuni lavorano come giornalisti, altri in ambito culturale, ma tutti sono curiosi di sapere quello che facciamo, o comunque sono spinti dalla necessità di confrontarsi.

Parlando ci siamo resi conto che i problemi che affrontavamo erano spesso gli stessi. Così abbiamo cominciato a fare una vera e propria inchiesta, un’autoinchiesta: abbiamo ricostruito il settore a partire dal nostro lavoro.

Oltre alle riunioni mensili abbiamo fatto decine di interviste individuali e condotto un sondaggio anonimo a cui hanno risposto più di trecento persone. E con i dati raccolti siamo riusciti a farci un’idea più precisa del lavoratore, o meglio della lavoratrice tipo del settore editoriale: la maggior parte sono donne con una formazione elevata (spesso post-universitaria; la metà ha una formazione specifica per il settore editoriale), per tre quarti freelance.

Di indagini da allora continuiamo a farne: stanno per essere pubblicati i risultati di una nostra  ricerca svolta insieme alla Statale di Milano e all’Università di Verona.

Grazie a tutto questo lavoro di analisi, abbiamo cominciato a dare un senso alle cose:

  • Siamo lavoratrici e lavoratori isolati. Sì, ma in che senso? Siamo isolati nel senso che spesso lavoriamo da soli, e perché poi ci troviamo a contrattare un compenso per il nostro lavoro sempre individualmente con una controparte (la casa editrice) che è  più forte di noi.
  • Questa non è una situazione immutabile, è frutto delle leggi. In particolare quelle europee sull’antitrust. Infatti in quanto lavoratori autonomi siamo considerati alla stregua delle imprese. Facciamo un esempio: se due grafici si mettono d’accordo su una tariffa minima di 3 euro per l’impaginazione, sono trattati come  la Barilla e la Garofalo che fanno cartello sul prezzo dei fusilli. Questa è un’assurdità, a cui la Commissione europea sta pensando di mettere mano da qualche tempo.
  • Poi c’è questa sensazione che proviamo tutti quando arriviamo sul mercato: uno esce da una scuola, da un master, da un’università e subito si sente sfruttato tantissimo e vede anche gli altri sfruttati tantissimo. In altre parole: stage. Stage in cui uno lavora spesso per niente e magari gli viene riproposto di continuare a lavorare ma ugualmente per niente o per molto poco. Ecco, questo è il modo in cui si entra nel mercato; e questo influenza la cultura, quindi l’idea che uno debba sgobbare il più possibile per sperare di ottenere qualcosa. Ma gli stage non sono una cosa che scende dal cielo, sono una cosa molto umana. E il fatto che le imprese possono avere le scrivanie in cui vengono ruotati continuamente gli stagisti uno dopo l’altro, stagisti che vengono diciamo pure “formati” in qualche caso, ma nella gran parte fatti lavorare in modo abbastanza brutale. Ecco, questo è possibile perché ci sono alcune leggi che lo permettono. Anche qui, c’è stata una modifica recentemente, ma dovrà passare per la Conferenza Stato-Regioni.

Ma il risultato di queste e altre cose di cui parliamo da anni qual è? Questo senso di impotenza, di isolamento che sentiamo è frutto della svalutazione del lavoro, di quelle competenze acquisite e di quello studio che finiscono in niente. Ed è una cosa che ovviamente ha a che fare con il lavoro in tutti gli ambiti, non solo quello editoriale.

Però dai dati che abbiamo raccolto risulta che la maggior parte degli intervistati ha un reddito annuo lordo, per quanto riguarda il lavoro editoriale, inferiore ai 15.000 euro. Tutto questo a fronte di un impegno settimanale medio di almeno 40 ore. Dati simili a quelli dell’indagine di Biblit, condotta sui compensi della traduzione del 2019. Oltre il 50% dichiarava di avere un reddito lordo sotto i 10.000 euro annui; oltre il 70% sotto i 15.000. Sono dati che servono solamente a dare un numero alla svalutazione del lavoro in editoria.

La svalutazione del lavoro la possiamo attribuire al lavoratore? Sì, in parte sì. Sicuramente spesso manca la consapevolezza delle regole.. Ma le scuole, i corsi o i master non forniscono nessuna formazione rispetto a… non so, anche solo rispetto ai tempi di pagamento. In tutte le nostre riunioni c’è sempre qualcuno che dice di aver firmato un contratto in cui si afferma che verrà pagato a 90-120 giorni. Ma in Italia questa clausola è illegale: non si può pagare a più di 60 anche in presenza di un accordo scritto tra le parti. Ecco, il fatto che molte scuole e master costosi abbiano tra i promotori delle case editrici non può che lasciare perplessi.

Un’altra motivazione per la svalutazione è il mito della passione. L’idea che per fare questo bel lavoro siamo disposti a guadagnare poco. Ci capita di lavorare per settimane, o anche per mesi, a un libro. Di dedicargli tutto il nostro tempo e le nostre energie. E alla fine ci sentiamo parte di quel lavoro. Avvertiamo come una necessità di trovare un’identificazione profonda con quello che facciamo con i libri, che ci può portare erroneamente a sentire un’identificazione con il marchio per cui lavoriamo.

Però sulla svalutazione del lavoro hanno una responsabilità anche le imprese.

Quando scegli di pagare poco il lavoro, quando scegli di reclutare un gran numero di stagisti, stai facendo delle scelte ben precise sia sulla qualità dei libri che sulla qualità delle condizioni di lavoro, di chi lavora con quei libri.

Perciò, quando sentiamo di alcuni editori piccoli o grandi che compiacendosi si battono il petto, magari per i dati di vendita dell’ultimo anno – che sono stati in effetti ottimi –, è difficile non avvertire un certo stridore con la realtà, sapendo quanti stagisti impiegano, che compensi ridicoli propongono.

In questo contesto, cosa può fare una coalizione?

In primo luogo, consente di passare dall’incolparsi individualmente a conoscere meglio quello che ci circonda, a essere più consapevoli. E quindi, concretamente, seguendo l’esempio di Acta, pubblicare sul sito tutte le FAQ, le domande più frequenti con precise risposte sul fisco, previdenza, compensi – tutte dimensioni molto concrete e burocratiche del lavoro editoriale. Ma anche raccogliere i compensi di molte case editrici e dare dei riferimenti.

Ma nella coalizione c’è anche altro. C’è la gioia di incontrarsi tra lavoratori e lavoratrici, di riconoscersi come cospiratori e non competitori, per costruire insieme una nuova identità collettiva. Quella che poi ci dà il coraggio di svolgere azioni collettive. Come chiedere spiegazioni per un taglio ingiustificato del costo del lavoro fatto sulle spalle di collaboratrici e  collaboratori esterni. Finalmente si discute pubblicamente di queste cose.

In questo modo la coalizione può intervenire sulla svalutazione del lavoro, cosa che a livello individuale è molto difficile fare, perché abbiamo visto che la formazione e lo studio non bastano per ottenere una vita dignitosa dal proprio lavoro. Ecco quindi la forza di agire collettivamente, di alzare gli standard degli altri non per migliorare i libri, ma per migliorare le nostre condizioni di vita.

Questa è l’idea della coalizione. Però attenzione, la coalizione non può essere solo tra indipendenti. Noi vediamo tante persone ai nostri incontri e andiamo a incontrarne anche altre: abbiamo organizzato un incontro con i lavoratori di Stradella appena chiuso lo sciopero della logistica, abbiamo conosciuto i librai di Milano indipendenti e di catena, abbiamo seguito la vicenda di Grafica Veneta e firmato l’appello, abbiamo parlato a un’assemblea della Gkn.

Le alleanze tra chi lavora non hanno un limite: ci si ritrova  sempre a lavorare per conto di qualcuno e il lavoro ci lega tutti. Seguendo il lavoro è possibile comprendere un settore ed è possibile anche cambiarlo.

Oggi ci troviamo qui a parlare con un’associazione di editori indipendenti, è pensabile un’alleanza fra queste due coalizioni? In un settore in cui chi lavora a tempo pieno guadagna meno di 15.000 euro l’anno, in cui molti dipendenti lavorano comunque troppo, (anche se sono protetti dalla contrattazione collettiva), che senso ha allearsi con gli editori? Ma qui forse possiamo tornare all’inizio: che cosa significa “indipendenti” quando parliamo di editori? Parliamo di cooperative? In cui si dividono il lavoro e i ricavi? Di progetti militanti in cui tutti gli incassi vengono reinvestiti nella produzione? O parliamo di aziende medie o piccole, che ruotano stagisti, che non pagano dignitosamente, che pagano tardi, che pagano in nero chi lavora allo stand oggi, (sempre che lo paghino)?

Ecco, dovrebbe essere abbastanza chiaro con quali editori ci sentiamo di parlare di alleanza, e quali sono le condizioni minime per aprire il discorso.

E il discorso, imprevedibilmente, si è aperto. Giulio Perrone si è impegnato a portare al prossimo direttivo Adei le questioni emerse nell’incontro. Vediamo che succederà.

 

Redacta

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di Redacta tempo di lettura: 7 min
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