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Sei un lavoratore autonomo, e devi solo morire.

20 Ottobre 2010 News, Vita da freelance

Giacomo Mason[Per gentile concessione di Giacomo Mason, esperto di management delle intranet aziendali e di comunicazione, oltre che socio attivo di ACTA, ripubblichiamo un suo recente intervento scritto sul blog Intranet Management.]

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Sei un lavoratore autonomo, e devi solo morire.

Sei un lavoratore autonomo ma non sei avvocato, architetto, notaio o medico. E neanche idraulico, elettricista o falegname. Magari sei web designer, archeologo, traduttore, grafico, pubblicitario, copywriter, pubblicista, videomaker, formatore, sviluppatore php, disegnatore, architetto dell’informazione, consulente aziendale, fotografo. Appartieni a uno stano contenitore che i tuoi genitori, ma anche l’INPS o il TG3, non hanno ancora imparato a riconoscere. Lavori col Computer.

Sei un lavoratore autonomo e lavori da casa. Ma questa condizione non assomiglia all’idea che ti eri fatto quando stavi in ufficio, non corrisponde al quadretto pigiama-computer-frigorifero. Ti svegli alle 7.00 e alle 20.00 alzi la testa e dici “toh”. Ti chiedono il venerdì sera le cose per lunedì mattina sapendo che le avranno. La tua casa assomiglia a un ufficio, mangi davanti al pc. La domenica puoi fare le slide in santa pace.

Sei un lavoratore autonomo perché c’hai la partita Iva. Quando eri privo di partita Iva, nella tua condizione di allegro dipendente o di cupo disoccupato, la Partita Iva ti sembrava un segno distintivo di professionalità, uno stigma del mondo dei seri lavoratori. Dopo un po’ ti accorgi che partita Iva significa solo meno rogne per chi ti dà lavoro e tanti soldi che devi versare ogni trimestre. Anche se non ti hanno pagato. Ogni tanto puoi dire dei no, toglierti qualche soddisfazione, ma la maggior parte delle volte dirai di sì.

Sei un libero professionista, ma non sei un professionista libero. Le tue fatture giacciono da 6 mesi al ministero, e non c’è un cazzo che tu possa fare. Ti sei fatto la pensione integrativa, hai l’assicurazione sulla vita, sei stai fermo 6 mesi non si ricordano di te neanche i tuoi familiari. Non solo la banca, ma anche la Findomestic ti rifiuterà un finanziamento per il PC, per concederlo invece a tuo nonno pensionato a 600 euro al mese. Hai l’ansia.

Sei un lavoratore autonomo e non hai orari, assistenza, albi professionali, casse previdenziali, reti. Sei lasciato a te stesso, sei la quintessenza della condizione liquido-moderna di baumaniana memoria. Fai parte dell’ingranaggio ma non appartieni a una Classe, lavori duro ma non fai parte di un Popolo; nessuno scenderà in piazza per te, e tu non saprai mai con chi scendere in piazza. Fai parte della famosa “Moltitudine”, ma questo non ti tranquillizza, perché con i concetti filosofici non sempre si arriva a fine mese e la moltitudine va bene nei libri di Toni Negri ma non quando devi rivendicare un diritto.

Sei un lavoratore autonomo e devi essere sempre costantemente bravo e aggiornato se no nessuno ti richiamerà. Ma anche così ogni tanto qualcuno ti chiama e ti dice che hanno tagliato il budget, se ne riparla l’anno prossimo. E tu inventi, perché inventare è il tuo mestiere. Ti aggiorni, a tue spese, perché è l’unica cosa che puoi fare.

Sei un lavoratore autonomo ma non sei un parasubordinato, un cococo, un cocopro, un coccodè. Macché, tu fai un lavoro cognitivo in autonomia, cosa che non ti renderà simpatico a nessuno. In realtà non lo sai che cosa sei, fino a che non gli devi dare il 27% di INPS e il 27% di IRPEF e allora ti accorgi che c’è qualcuno che conta davvero tanto su di te.

Sei un lavoratore autonomo e non aspettarti la solidarietà di nessuno: non si dà solidarietà ai fantasmi, agli invisibili. Non sei un disoccupato quindi niente Santoro per te, non sei un precario, quindi niente Epifani-Bonanni-Angeletti per te.

Sei un lavoratore autonomo, e devi solo morire.
Oppure no. Oggi c’è qualcuno che sa bene chi sei e sta provando a cambiare le cose. Si chiama ACTA (Associazione consulenti del terziario avanzato).

Se ancora non li conosci fatti un giro sul loro sito, oppure su Facebook, su Twitter, su Linkedin o su Friendfeed.

Se ti sei riconosciuto nelle cose che ho scritto sono sicuro che non te ne pentirai.

Giacomo Mason

ACTA

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12 Commenti

  1. Selena

    Reply

    davvero centrata questa riflessione sui lavoratori autonomi .. speriamo davvero che qualcosa si possa cambiare anche se la vedo dura in un paese come l’Italia !!!

    20 Ott 2010
  2. Luca

    Reply

    è vero che come cognitariato e moltitudine l’unico che ci si fila seriamente è Toni Negri. Del resto mi pare anche giusto con la sua storia che non tralasci i lavoratori “autonomi” 🙂

    Comunque bel pezzo da diffondere

    20 Ott 2010
  3. ACTA

    Reply

    Beh, solo Toni Negri no, dai. Ci siamo anche noi di ACTA.. 🙂

    20 Ott 2010
  4. Petra

    Reply

    Esatto! Sono tutto questo e anche di più. Ma in questo marasma come ci può aiutare Acta? Tra appartamenti a Montecarlo e ville ad Antigua non vedo molte prospettive.

    20 Ott 2010
  5. Adele Oliveri

    Reply

    @Luca: con tutto il rispetto per Toni Negri, leggevo qualche tempo fa in un articolo apparso su “Il Fatto” che anche lui percepisce una lauta pensione come ex parlamentare. Potrei sbagliarmi, ma questo non rappresenta certo un incentivo a sostenere una riforma delle pensioni che azzeri o quanto meno minimizzi i privilegi di alcuni per assicurare tutele minime a tutti.

    20 Ott 2010
  6. Federico

    Reply

    Ottimo pezzo, complimenti a Giacomo!

    21 Ott 2010
  7. simo

    Reply

    io per ora sto a regime contribuenti minimi (finanziaria 2008) e di tasse pago il 20% , non il 27%

    26 Ott 2010
  8. Miriam

    Reply

    Ciao Giacomo,
    complimenti hai centrato in pieno l’argomento. Sono traduttrice libera professionista e il problema è cheanche il mio compagno lo è e, si, siamo sempre nella situazione da te descritta. Ma che fare???? aggiungo anche che abbiamo due bimbi a carico e speriamo di poter offrire loro un futuro migliore …. Bravo!

    4 Nov 2010
  9. Alessandra Di Pofi

    Reply

    Concordo con l’articolo solo in parte.
    Perfettamente d’accordo sulla pressione fiscale insostenibile e sull’assoluta mancanza di forme di tutela, ma non concordo affatto con questo messaggio di “vittima del mercato del lavoro”.

    Intanto, ma questa forse è una nota meramente personale, il “quadretto pigiama-computer-frigorifero” somiglia più a un incubo, per quanto mi riguarda. Non credo che tutti noi che lavoriamo a casa finiamo per abbrutirci in questo modo. Ma questa è, appunto, una nota personale.

    Per il resto:

    “Ti chiedono il venerdì sera le cose per lunedì mattina sapendo che le avranno”: ma chi l’ha detto? Questa è una libera scelta del professionista. Nella mia attività di traduttrice, mi capita eccome di lavorare durante il weekend, ma solo perché magari ho preso diversi progetti e devo recuperare per consegnare in tempo. Nessuna agenzia di traduzione mi chiede, da anni, di portare a termine un progetto dal venerdì sera al lunedì mattina (a meno che non siano ad esempio 200 parole, che si possono benissimo tradurre il lunedì mattina stesso). Se qualcuno ci ha provato, si è beccato un secco “No” e non ho perso il cliente per questo.

    “Le tue fatture giacciono da 6 mesi al ministero, e non c’è un cazzo che tu possa fare”: oh sì che c’è, invece. Ad esempio: sapendo benissimo come si comporta la Pubblica Amministrazione italiana con i pagamenti, evitare di lavorarci. Oppure: ci caschi una volta, poi non ci caschi più. Se su questo fossimo tutti compatti, anche la PA dovrebbe “darsi una regolata”. Mentre si sa benissimo che per uno che rifiuta ce ne sono altri dieci che sottostanno a condizioni inaccettabili, per motivi che francamente mi sfuggono.

    “Non sei un disoccupato quindi niente Santoro per te, non sei un precario, quindi niente Epifani-Bonanni-Angeletti per te.”

    E ci mancherebbe pure, direi. Parlo ovviamente in base alla mia esperienza nella traduzione. Da oltre un decennio, ormai, noi possiamo lavorare con tutto il mondo comodamente da casa nostra. Il mercato della traduzione in Italia è sempre stato pessimo (per colpa nostra, comunque), quindi con l’avvento di Internet e la possibilità di lavorare con l’altra parte del pianeta l’ho gradualmente abbandonato. Se altri hanno ritenuto, ancora una volta, di sottostare a condizioni inaccettabili, problema loro. Certo che ora i bei tempi sono finiti ovunque, ma se permettete c’è ancora un’enorme differenza tra me e un disoccupato o un precario: io, da casa mia, posso cercare un’alternativa. Il lavoratore dipendente, vincolato al territorio, se vuole cercare altrove deve proprio trasferirsi e questo è ovviamente infinitamente più difficile.

    In sintesi: la pressione fiscale è inaccettabile, l’aliquota INPS è un furto ed è vero che siamo impopolari, dato che spesso veniamo considerati evasori a prescindere.

    Per il resto, però, la “tragica esistenza” (secondo quanto emerge qui) di colui che lavora da casa è mera responsabilità di colui che lavora da casa.

    16 Mar 2014

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Sei un lavoratore autonomo, e devi solo morire.

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