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Stagismo di stato

29 Giugno 2023 Lavoro, News

Sapete com’è andata a finire la storia della riforma degli stage extracurricolari? Forse vi ricordate com’è iniziata.

In sostanza: con la legge di bilancio di fine 2021 il governo Draghi prevedeva la definizione di linee guida sugli stage extracurricolari entro luglio 2022 attraverso la Conferenza Stato-Regioni. L’obiettivo era contrastare l’abuso di queste forme contrattuali, riservandole ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale (come persone detenute ed ex detenute, tossicodipendenti, persone disabili).

Un provvedimento che avrebbe ridotto drasticamente il numero di stage extracurricolari.

Qualcosa si è mosso?
No. E perché?

Le indicazioni del governo sono state bocciate dalla Corte Costituzionale, la quale ha riconosciuto come “istruzione e formazione professionale” siano una competenza residuale delle Regioni, come spiega bene questo pezzo della Repubblica degli stagisti.

Non stupisce che il risultato di bloccare tutto sia frutto del ricorso della Regione Veneto. Proprio quel Veneto che nel 2021 si è attestato su quota 35mila stage extracurricolari; un numero secondo solo a quello registrato dalla Lombardia, regina degli stage extracurricolari, con le sue 70mila unità nel 2021.

La storia potrebbe dunque finire così: “E vissero tutti infelici e stagisti”.

Ma noi vogliamo riaprire il libro e dire qualcosa in più.

Se riportiamo con rammarico che le misure per limitare gli stage extracurricolari a pochissimi casi non sono neanche entrate nell’anticamera dell’anticamera della Conferenza Stato-Regioni, è meno noto invece l’altro lato dello stagismo lasciato opportunamente all’oscuro: l’assordante silenzio sugli stage curricolari.

Chissà cosa sarebbe successo se avessero abolito gli extracurricolari (rimborsati) lasciando in vigore i curricolari, rimborsati tendenzialmente zero, salvo imprevisti slanci di generosità del “datore di formazione”. Chissà.

Ma perché ci interessano così tanto gli stage?

Perché li conosciamo da dentro. Sono l’obolo da pagare per entrare nel mondo dell’editoria (e non solo). Ma, come in una scatola cinese che nasconde quello che contiene, quest’obolo è compreso in un altro obolo ancora più oneroso: il master o la scuola di editoria, passaggio obbligatorio per entrare nel “giro” editoriale, un percorso costoso che, ormai, non garantisce neanche la certezza di rimanerci, in quel giro, dopo lo stage.

Quando parliamo di stage post-master, parliamo di stage curricolari. Anche se, a volte, dopo il primo ecco arrivarne un secondo (extracurricolare, questa volta).
Il perché è noto, e ha tutta l’aria di suonare come un proverbio popolare: “È solo lavorando che si impara a lavorare!”. Ma questa affermazione ci fa sorgere un dubbio: lo stage non era formazione?

Il ricorso a stagiste e stagisti è da tempo strutturale in molte case editrici, grandi e piccole, che possono essere partner, promotrici o fondatrici delle stesse scuole di editoria, riuscendo così a guadagnare due volte sulle studentesse e gli studenti, che prima pagano il corso e poi lavorano gratis nelle loro redazioni.

Le stagiste e gli stagisti sono figure così istituzionalizzate che in alcune redazioni è prevista la cosiddetta “scrivania dello stagista” che ogni tre o quattro mesi vede un nuovo occupante, non di rado istruito sul lavoro da fare proprio dalla persona che sta lasciando quello stesso posto al sole.

È evidente come in un sistema del genere la qualità del lavoro arrivi a contare sempre meno, mentre la costruzione del “capitale umano” è sempre più a carico dell’umano e sempre meno a carico del capitale.

Constatare l’esistenza di un sistema come questo comporta alcune riflessioni.
Anzitutto, non possiamo non vedere che accede al mercato del lavoro editoriale solo chi ha le spalle coperte almeno un po’, perché il biglietto d’ingresso ha un prezzo molto alto. C’è chi stringe i denti e prova a superare le barriere di una società ingessata come quella italiana, ma lo schema solitamente è questo:

scuola post-laurea
+
molti, moltissimi mesi senza un reale stipendio/compenso ma solo rimborsi eventuali (stage)
+
primi anni di lavoro sottopagato (“gavetta”).

Un’altra riflessione è quella sulla sostenibilità economica di aziende che si reggono in buona parte sul lavoro non retribuito. Ha senso che stiano in piedi? Quanto è sano un modello economico del genere? Lo abbiamo analizzato nella nostra inchiesta.

Un’ultima e forse più importante considerazione è quella sui costi sociali che questo sistema comporta: quali conseguenze ha la concorrenza dovuta alla presenza di forza-lavoro gratuita (aka stagisti e stagiste) sugli altri lavoratori e lavoratrici che in questo ambito sono spessissimo autonomi? Un livellamento dei redditi verso il basso. E questo è un problema enorme in un momento in cui l’inflazione erode le magre entrate di tutti, in particolare di chi registra un reddito ben al di sotto di una soglia dignitosa.

Quando abbiamo presentato i dati preliminari del nostro sondaggio 2019 abbiamo anche fatto una proposta di intervento sulle leggi che regolano gli stage:

  • Le regole sul rapporto massimo stagisti/dipendenti e la garanzia di un compenso minimo [che valgono per gli stage extracurricolari NdR] devono essere estese anche agli stage curricolari.
  • Gli stage non devono in ogni caso superare i 3 mesi.

Ci sembra ancora buona: ha il pregio di intervenire sugli stage curricolari, per cui “basta” modificare la legge nazionale senza passare dalla Conferenza Stato-Regioni. Ma dopo quattro anni forse occorre aggiornarla, anche in base a come si è modificata la situazione.

È anche per questo che abbiamo preparato il nostro sondaggio, una “nuova edizione” di quello del 2019, arricchita e riveduta, per tutti i ruoli dentro la filiera.
Più risposte avremo, più la fotografia del settore che scatteremo sarà nitida.
Più siamo, meglio possiamo capire “chi” siamo e “come” siamo: non è poco.

Redacta

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di Redacta tempo di lettura: 4 min
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