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Sottotitolatori freelance: quali prospettive?

5 Ottobre 2022 Compensi, Diritti, Lavoro, Vita da freelance

Il nostro socio Giovanni Campanella racconta il lavoro dei sottotitolatori, sempre più richiesto con l’esplosione dello streaming TV, ma poco riconosciuto e poco pagato.

Faccio parte di un gruppo informale di circa 50 professionisti freelance specializzati nella traduzione di sottotitoli per il cinema, la TV, l’home video e i servizi di streaming. Approssimativamente, metà di noi vive in Italia e l’altra metà all’estero, sia all’interno che al di fuori dell’Unione Europea. Per semplicità, però, quando necessario farò riferimento alla situazione di chi vive in Italia o, comunque, nell’Unione Europea.

Il lavoro dei sottotitolatori

  • Lavoriamo soprattutto da remoto; alcuni di noi anche in presenza, per esempio ai festival cinematografici, ma è più un’eccezione che la regola (come spiegherò fra poco).
  • Possiamo lavorare direttamente per i clienti finali (specie nel caso dei servizi di streaming) o, più spesso, per degli intermediari (cioè per agenzie di varia dimensione che forniscono servizi linguistici ai clienti finali).
  • Di solito, ognuno dei principali committenti, che sia un servizio di streaming o un’agenzia intermediaria, incarica un coordinatore (può trattarsi di un dipendente del servizio o dell’agenzia, ma, non di rado, anche il coordinatore dei traduttori è una figura esternalizzata) affinché ci contatti per verificare la nostra disponibilità a lavorare a un dato progetto.
    Se siamo disponibili, il coordinatore ci assegna i relativi file tramite l’account personale che ognuno di noi ha sul portale del committente; una volta terminato il lavoro, riconsegneremo i file tramite il medesimo portale. In altri casi (meno frequenti), siamo noi stessi a visitare il portale del committente per verificare se sul nostro account personale o su una pagina a parte ci siano delle proposte di lavoro.

Una professione ignorata anche dal vocabolario in Italia…

In Italia la nostra è tuttora una professione relativamente sconosciuta, anche perché in questo Paese, per una serie di motivi sui quali non starò a dilungarmi, storicamente si è preferito doppiare i film anziché sottotitolarli. Così è ancora diffusa l’idea che di norma la traduzione dei sottotitoli, anziché essere l’opera a sé stante di professionisti specializzati in sottotitolazione, sia un sottoprodotto del doppiaggio, un’attività residuale.
Secondo questa idea, in altre parole, la norma sarebbe che prima viene creato il doppiaggio e che da quello, poi, si ricavino i sottotitoli.

La sottotitolazione come attività separata dal doppiaggio, insomma, non riguarderebbe tanto i film solitamente disponibili al cinema, alla TV, nell’home video, in streaming, quanto situazioni di nicchia nelle quali occorre sopperire alla mancanza di doppiaggio, come i festival del cinema in cui vengono presentati in anteprima film stranieri che, eventualmente, saranno distribuiti nelle sale solo in seguito. Non per nulla, in un articolo del Corriere della Sera del 2015 intitolato “Il mestiere del sottotitolista”, si asseriva che:

«Il sottotitolista è un lavoro silenzioso, fatto al buio della cabina di regia, manna dal cielo per [chi frequenta i festival e vuol] capire un film in versione originale senza saperne la lingua».

I principali vocabolari italiani non hanno tra le loro voci né sottotitolista né sottotitolatore. In compenso l’Enciclopedia Treccani, nel suo Lessico del XXI Secolo (2013), riporta la voce anglofona subber, spiegando che è un neologismo, traducibile come “sottotitolatore” (tra virgolette),

«con cui si indica gergalmente l’appassionato di serie TV, film, programmi TV, che traduce tali prodotti rendendoli disponibili sul web in formato digitale ad altri fruitori. Questa pratica di fandom, legata soprattutto alle serie TV e agli anime, nasce dalla possibilità di scaricare illegalmente attraverso Internet prodotti non ancora diffusi e doppiati in Italia».

A parte il fatto che, in questi casi, si parla più propriamente di fansubber, in sostanza il riferimento è, ancora una volta, a prodotti audiovisivi di nicchia, tradotti per di più non da professionisti (cioè non da quelli che in inglese si chiamano subtitler, i sottotitolatori in senso proprio), ma da appassionati (subber e fansubber derivano da una contrazione gergale di subtitler) e, almeno nella fattispecie, in un contesto d’illegalità.

…ma ben nota all’estero

Tuttavia, già negli ultimi decenni del XX secolo, ossia già prima che il fenomeno dello streaming legale conoscesse un boom grazie a Netflix (che ha cominciato a offrire servizi di streaming una quindicina di anni fa) e si affermasse ulteriormente grazie ad Amazon Prime Video, Apple TV+, Disney+, ecc., le major hollywoodiane facevano sottotitolare i propri film in più lingue (italiano compreso) ad aziende multinazionali come Technicolor o Deluxe, ossia alle medesime aziende che fornivano alle major le pellicole, gliele stampavano e, nel caso di Deluxe, le distribuivano per loro in tutto il mondo (al cinema e sul mercato dell’home video).

Prima di diventare un traduttore, ho lavorato per alcuni anni nella sede italiana di una di quelle multinazionali, come specialista nel controllo di qualità dei sottotitoli. Nella nostra sede controllavamo circa 40 lingue. Altre lingue erano controllate da nostri omologhi nelle sedi della stessa multinazionale presenti in altri Paesi. Normalmente, invece, il doppiaggio dei progetti di cui controllavamo i sottotitoli era a cura di altre aziende.
Dal mio punto di vista, cioè, doppiaggio e sottotitolazione erano fin da allora due mondi a sé stanti: da un lato c’erano i doppiatori italiani, che producevano doppiaggi solo in italiano e solo per il mercato italiano; dall’altro c’erano i sottotitolatori, che producevano sottotitoli in tante lingue e per tanti mercati di tutto il mondo.

I due mondi, nondimeno, condividevano e condividono almeno due vincoli:

  • Il documento chiamato KNP, acronimo di Key Names and Phrases (“Nomi ed espressioni chiave”), che il cliente finale chiede di seguire tanto ai sottotitolatori quanto ai doppiatori per evitare incongruenze fra le rispettive traduzioni;
  • Il titolo del film, del documentario, della serie o dell’episodio della serie che il cliente finale ha approvato e che tanto chi cura i sottotitoli quanto chi cura il doppiaggio è tenuto a usare per evitare incongruenze fra le rispettive traduzioni.

Il ruolo delle società di intermediazione

Come detto, i sottotitolatori lavorano soprattutto tramite agenzie intermediarie.
Le principali agenzie intermediarie sono delle multinazionali che gestiscono decine di lingue e, per ciascuna lingua, dispongono di un parco traduttori composto da decine o centinaia di freelance.
Rispetto ad aziende del genere, il singolo freelance, di solito, ha un potere contrattuale assai ridotto. L’asimmetria di potere si manifesta anzitutto a livello di retribuzioni: i compensi corrisposti da una multinazionale tendono a essere bassi e difficilmente negoziabili.
L’asimmetria è poi accresciuta dal fatto che, perlopiù, la sede centrale della multinazionale si trova al di fuori dell’Italia e dell’Unione Europea: così la multinazionale può imporre ai sottotitolatori contratti rispetto ai quali le normative italiane ed europee valgono solo in minima parte.
D’altronde, come sottolinea l’indagine ACTA sul settore audiovisivo pubblicata dalla Fondazione Brodolini, allo stato attuale la figura del sottotitolatore non ha ancora ottenuto dalla legge italiana un riconoscimento come lavoratore delle spettacolo, analogamente a quanto avviene per gli altri lavoratori del settore audiovisivo, e più in generale, devono ancora vedersi riconosciuto dall’UE il diritto alla contrattazione collettiva.

Niente diritto d’autore per i sottotitolatori

Di solito, nei contratti che stipuliamo, non è prevista alcuna forma di compenso relativa ai nostri diritti d’autore e, addirittura, può esserci espressamente vietato di rivelare i titoli dei prodotti audiovisivi che abbiamo sottotitolato.
Al momento, d’altro canto, in Italia dal punto di vista giuridico la figura del sottotitolatore non è equiparata a quelle di altri traduttori, come ad esempio i traduttori letterari o, per restare in ambito audiovisivo, i dialoghisti (cioè gli adattatori dei dialoghi doppiati).
La normativa italiana, quindi, non offre appigli per ottenere che i compensi da noi percepiti riguardino anche solo in minima parte i nostri diritti d’autore, né offre appigli affinché, nei nostri curriculum vitae, sui nostri siti o sui nostri profili social, possiamo farci pubblicità specificando quali film abbiamo tradotto.

Shortage di sottotitolatori?

Quanto alla normativa europea, questa ci equipara alla controparte senza tenere conto dell’asimmetria di potere che, di nuovo, si manifesta anzitutto a livello di compensi. Anche se mi dilungherei volentieri sull’andamento al ribasso dei compensi percepiti dai sottotitolatori in Europa e nel mondo durante gli ultimi 25-30 anni, mi limiterò a un esempio recente.
Nel novembre del 2021 esce sulla rivista web Rest of World un articolo di Andrew Deck dal titolo: “Lost in translation: The global streaming boom is creating a severe translator shortage”, ossia “Scomparsi nella traduzione: il boom mondiale dello streaming genera una grave penuria di traduttori”.

L’articolo parte dalle lamentele di tanti spettatori di tutto il mondo per la scarsa qualità dei sottotitoli della serie coreana “Squid Game”, che appena due mesi prima ha debuttato su Netflix e in poche settimane ha ottenuto un successo enorme, ma anche inaspettato.
A occuparsi di far tradurre quei sottotitoli è stata Iyuno-SDI, ossia la maggiore o una tra le maggiori agenzie intermediarie mondiali odierne nel settore dei sottotitoli e della localizzazione: Iyuno-SDI, infatti, ha un valore di mercato stimato in 1,2 miliardi di dollari (Slator 2022) e sostiene nella propria homepage di poter contare su 20.000 esperti di 100 e più lingue in tutto il pianeta.
Di conseguenza, l’autore dell’articolo contatta David Lee, amministratore delegato di Iyuno-SDI, e gli chiede lumi su quanto è successo. Lee risponde dicendo di prevedere che, nel giro di due o tre anni, la domanda di servizi di traduzione e localizzazione supererà l’offerta. Poi aggiunge che il settore non ha abbastanza risorse e solo una parte di quelle che ha sono all’altezza del compito. Preparare una nuova generazione di traduttori richiederà tempo e denaro; frattanto, Iyuno-SDI potenzierà i controlli di qualità e le revisioni delle traduzioni.

In poche parole, dunque, l’amministratore delegato di Iyuno-SDI afferma due cose:

  1.  Il problema è che ci sono pochi traduttori e ancora meno traduttori bravi;
  2.  Per evitare che la situazione si aggravi, occorre investire nella preparazione di una nuova generazione di traduttori.

Ma allora come si spiega il calo dei compensi?

Tuttavia, ribatte ATRAE (Associazione spagnola di traduttori e adattatori audiovisivi), se fosse vero che ci sono pochi traduttori validi, per la legge della domanda e dell’offerta dovrebbe verificarsi un aumento dei compensi offerti ai traduttori; invece i compensi restano inalterati o, addirittura, mutano al ribasso.
In effetti, sebbene per Lee occorra investire nella preparazione di una nuova generazione di traduttori, la rivista Rest of World spiega che ciò in cui Iyuno-SDI investe già da qualche anno è il machine learning per automatizzare le traduzioni. Rest of World non lo specifica, ma nel 2020, un anno prima che scoppiasse il caso “Squid Game”, alcune associazioni di traduttori europee, tra cui AVTE (AudioVisual Translators Europe), denunciano che Iyuno-SDI usa gli investimenti nel machine learning quale giustificazione per ridurre i compensi dei propri traduttori freelance.
Sulla questione controversa della penuria di traduttori ha scritto, fra gli altri, anche il quotidiano italiano Il Post, dimostrandosi più aggiornato sulla nostra professione rispetto al Corriere della Sera.

Le responsabilità dei produttori audiovisivi

Si tratta, in ogni caso, di una questione complessa. Il problema dei compensi, in particolare, non dipende soltanto dalle agenzie intermediarie, ma anche dagli investimenti a monte da parte dei produttori, che dedicano ai sottotitoli e alla localizzazione una porzione limitatissima del budget disponibile.

In un articolo di Roshanak Taghavi che tratta soprattutto delle produzioni realizzate per lo streaming e che è apparso sul numero de Le Courrier de l’UNESCO di aprile-giugno 2022, Pablo Romero-Fresco, esperto d’integrazione della traduzione e dell’accessibilità nel film-making, spiega quanto segue: di solito, al momento di stilare il preventivo di un film, le spese di traduzione non vengono neanche conteggiate; malgrado ciò, si può calcolare che, sommate alle spese per l’accessibilità, esse costituiscano al massimo lo 0,1% del budget.
I ricavi del film, tuttavia, proverranno al 50% o più dai mercati esteri. Perciò Romero-Fresco si chiede: «Possibile che, nella produzione di un film destinato a milioni di spettatori in tutto il mondo, la regolazione del colore conti molto più della traduzione dei dialoghi? La differenza di trattamento tra le due è scioccante».

Verso la fine dell’articolo, Taghavi spiega come «numerosi addetti ai lavori» chiedano che ai sottotitoli venga destinata una percentuale maggiore del budget fin dall’inizio delle produzioni, cosicché sia possibile selezionare i migliori fornitori di servizi linguistici e garantire compensi più decenti a chi traduce i sottotitoli.

Quali strategie per sostenere il lavoro dei sottotitolatori?

Per esempio, si può cercare di incentivare la traduzione diretta dalle lingue che non sono l’inglese. Commentando la controversia sulla penuria di traduttori nata dal caso “Squid Game”, una mia collega si è chiesta:

«Come si è passati da “non ci sono traduttori dal coreano allo swahili” a “non ci sono traduttori”?».

Il caso “Squid Game”, infatti, è almeno in parte figlio del ricorso all’inglese come lingua pivot, o “lingua tramite” – la soluzione più comune quando si deve sottotitolare un film recitato in una lingua diversa dall’inglese: ritenendo di risparmiare tempo e denaro, prima la lingua originale viene tradotta in inglese e poi si danno da tradurre i sottotitoli in inglese ai sottotitolatori delle altre lingue. Il problema è che, passando attraverso una lingua pivot, alcuni significati cambiano o scompaiono con più facilità (“Lost in translation”, appunto: “Scomparsi nella traduzione”).

D’altro canto, i traduttori dal coreano all’italiano sono più rari rispetto a quelli dall’inglese all’italiano e, proprio per questo, si fanno pagare di più – o, almeno, dovrebbero farsi pagare di più.

Un’altra cosa a cui si può puntare, in effetti, è stabilire a livello nazionale o, meglio ancora, europeo delle buone pratiche per la stipulazione dei contratti e degli equi compensi per i sottotitolatori, facendo circolare il più possibile le informazioni al riguardo, specie tra i sottotitolatori alle prime armi. Una maggiore consapevolezza generale permetterebbe di contrastare meglio la tendenza al ribasso dei compensi, giacché sono d’accordissimo con quanto scrive Sergio Bologna nell’introduzione all’indagine ACTA sull’audiovisivo:

«Una volta che si abbassano le tariffe o i salari, è estremamente complicato poi aumentarli. Accettare di lavorare per un euro meno del collega significa porsi nella condizione di avere sempre qualcuno disposto a portarti via il lavoro con un altro euro di meno. È quindi una strategia suicida».

Il discorso sugli equi compensi è strettamente connesso da un lato all’inquadramento giuridico della professione da parte dell’Italia, dall’altro al riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva da parte dell’UE: ci si può rivolgere alle istituzioni nazionali ed europee per chiedere che rimedino alle lacune esistenti.

Infine si può e si deve perseguire una maggiore visibilità e un miglior coordinamento della categoria: sia estendendo ed eventualmente strutturando la rete di contatti continuativi a cui, da gennaio di quest’anno, ha dato vita il nostro gruppo di 50 sottotitolatori; sia aderendo, come abbiamo già fatto alcuni colleghi e io, ad associazioni come ACTA, intenzionate a sostenere le nostre istanze. Visibilità e coordinamento, fra l’altro, sarebbero utili a perseguire anche gli obiettivi degli equi compensi, del riconoscimento giuridico e del diritto alla contrattazione collettiva.

Amministratore del Sistema

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1 Commenti

  1. rossella

    Reply

    io è da tempo che cerco un sottotitolatore madrelingua americano ma non riesco a trovarlo, come si spiega?

    19 Lug 2023

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Sottotitolatori freelance: quali prospettive?

di Amministratore del Sistema tempo di lettura: 10 min
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