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Uno sguardo nella cucina del Jobs Act

12 Marzo 2014 Lavoro

Quando da un seminario s’impara qualcosa non è mai tempo perso. Ieri alla Facoltà di Scienze Politiche della Statale di Milano si è svolto un confronto tra ACTA ed alcuni docenti che stanno collaborando all’elaborazione del Jobs Act di Matteo Renzi. Che in questo primo documento non ci sia nulla che riguardi il lavoro autonomo lo sapevamo, che non ci sia molto da sperare che in seguito qualcosa il governo Renzi sia disposto a fare, lo abbiamo imparato ieri. Tuttavia è un fatto positivo e, in un certo senso, una novità, esser riusciti, grazie alla prof.ssa Renata Semenza, che ha organizzato il seminario, a portare ad un tavolo, dentro un’istituzione prestigiosa, le proposte, assai dettagliate, di ACTA ed alcuni esponenti del mondo accademico impegnati nella consulenza alla politica.
A dire il vero, quando uno dei tre relatori ci ha presentato una tabella ISTAT con l’intenzione di spiegarci che di “vero” lavoro autonomo in Italia ce n’è assai poco, mi è venuto in mente che lo stesso identico set di dati con le stesse conclusioni era stato sbandierato da alcuni miei interlocutori in una polemica dove ho avuto anch’io il diritto di parola sul “Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali” una decina d’anni fa. Come se in questo lasso di tempo per una certa cultura universitaria che va per la maggiore non fosse cambiato niente. Ma non si può addossare la responsabilità di una scarsa comprensione del lavoro autonomo ad un ambiente notoriamente autoreferenziale come l’Università. Lo ripeto una volta di più: siamo noi responsabili per primi di questa situazione, noi come lavoratori autonomi che ancora in grande maggioranza aderiamo a ideologie ed associazioni che trasmettono un’immagine superata del lavoro autonomo, che non muovono un dito sul piano della rivendicazione di diritti fondamentali e si baloccano con codici etici e pseudo-ricette per il successo individuale, gente che fa storie a pagare 50 (cinquanta!) euro di quota associativa annuale perché altrimenti non possono comperarsi la pizza quattro stagioni. Siamo noi a non avere ancora la forza di gridare contro tante ingiustizie, di portare in piazza la nostra protesta, a non essere capaci di renderci visibili con il nostro vero volto. Poiché tutto si misura per rapporti di forza sul terreno mediatico, dobbiamo per forza alzare il tiro.

Sergio Bologna

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7 Commenti

  1. Luciano Consolati

    Reply

    Sono pienamente d’accordo. Servono iniziative forti sul piano mediatico e soprattutto il presidio qualificato dei luoghi in cui si discute o si tenta di parlare di partite iva e poi….. insistiamo per non essere assimilati a quella parte di lavoro autonomo visto come il “popolo degli evasori”

    13 Mar 2014
  2. Mattia Sullin

    Reply

    Mi permetto di essere ancora più pessimista.
    Temo che chi si rifugia in associazioni ed in ideologie obsolete sia già un bel pezzo avanti rispetto alla media dei freelance che invece portano il loro spirito autonomo ed indipendente anche nella vita civile, disinteressandosi di qualunque forma di aggregazione di interessi e rivendicazioni condivise. Quello che accade è altro, distante, intangibile ed immodificabile. Ed in efftti va a finire che è davvero così, la classica profezia che si autoavvera.
    Ma proprio perchè sono ancora più pessimista, con ancor maggior forza sottoscrivo l’appello all’impegno ed alla mobilitazione perchè quella di cui parliamo è un’urgenza assoluta.
    PS:sottoscrio anche il commento che precede, le affermazioni di ieri della Camusso sono state vergognose

    13 Mar 2014
  3. Alessandro

    Reply

    Io vado controcorrente. Da ‘sta gente non otterremo mai niente, almeno evitiamo di perdere tempo e masticare amaro…

    13 Mar 2014
  4. Marco

    Reply

    Caro Sergio Bologna,

    è da anni che in nome dei dogmi dell’austerità, della riduzione del debito pubblico e del liberismo (vecchio o nuovo), è in atto un attacco al welfare e ai diritti sociali e del lavoro.
    Tu (permettimi di darti del tu anche sono ci conosciamo), in tanti tuoi libri hai descritto le mutazioni che il lavoro ha subito nell’ultimo trentennio, e sei stato uno dei primi a comprendere e a descrivere come stava cambiando il mondo del lavoro autonomo e non attraverso l’emergere di nuove figure di lavoratori (il lavoro autonomo di seconda generazione).

    L’errore, secondo me, è stato quello di pensare che il lavoratore autonomo di seconda generazione fosse il nuovo operaio massa, tanto caro all’operaismo italiano, nuovo soggetto di emancipazione e di liberazione.

    Sto banalizzando molto, ovviamente, ma tutto questo ha condotto a una sorta di autismo, di autoreferenzialità, quando al contrario il lavoratore autonomo e le associazioni che vogliono rappresentarlo, come Acta ad esempio, avrebbero dovuto cercare alleanze con il mondo del lavoro dipendente, pubblico e privato, con i precari, e con i pensionati.

    Costruire alleanze per ricostruire ed estendere i diritti sociali e il welfare a tutti e non toglierli ad alcuni per darli ad altri, per ridisegnare lo statuto dei lavoratori ripensandolo anche in funzione dell’emergere del lavoro autonomo di seconda generazione, per contrastare la precarizzazione del lavoro.

    È accaduto invece il contrario, ci hanno messo gli uni contro gli altri, i pensionati contro i lavoratori attivi, i lavoratori dipendenti contro i lavoratori autonomi, quelli del pubblico impiego contro quelli del privato, i precari contro i “garantiti”, i disoccupati contro tutti e via dividendo e imperando.
    E ci hanno raccontato che i diritti (sociali e del lavoro) fossero dei privilegi.

    Questa “narrazione” è continuata fino a oggi. I provvedimenti che il governo Renzi varerà nei prossimi mesi di questo parlano: toglieranno probabilmente qualcosa ai pensionati per darlo ai lavoratori dipendenti (anche non tenendo conto della effettiva capacità contributiva di ciascun lavoratore), il piano del lavoro si tradurrà, pur prevedendo la riduzione forte della giungla contrattuale esistente, in una precarizzazione per tutti, e per noi freelance o lavoratori autonomi, come scrivi tu, non c’è da sperare nulla.

    Tutto, in modo gattopardesco, per non mettere in discussione le politiche di austerità e di riduzione dei diritti sociali e del lavoro.

    Cordiali saluti,

    Marco
    sviluppatore web freelance

    13 Mar 2014
  5. Andrea

    Reply

    Parole SAnte le sue!!! Nel mio piccolo io cerco di divulgare ma tutto tace.

    13 Mar 2014
  6. giovanni puggioni

    Reply

    Speranze disattese di ottenere i riconoscimenti che tanti giovani lavoratori a partita Iva attendono da anni. Non vivon di contributi, non possono detrarre le spese mediche, hanno costi previdenziali troppo elevati per le loro spesso modeste entrate eppure rappresentano una parte dell’Italia che lavora sodo e produce. Il governo Renzi ha il dovere di non escluderli dai benefici fiscali previsti per gli altri lavoratori. La Camusso, segretaria della Cgil, che quindi dovrebbe tutelarli (ma già, il sindacato tutela solo quelli che pagano le quote d’iscrizione) ha detto che i lavoratori a partita Iva sono per lo più degli evasori. Ma da dove trae questa convinzione. Chi apre la partita Iva deve iscriversi contestualmente all’Inps, sa che dovrà giustificare ogni spesa o introito con una fatturazione spesso affidata ad un commercialista. Non si sono innamorati della partita Iva, la subiscono perché senza quella sarebbero a spasso. Almeno gli si riconoscano dei diritti non solo dei doveri.

    15 Mar 2014

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Uno sguardo nella cucina del Jobs Act

di Sergio Bologna tempo di lettura: 2 min
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