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L'altra faccia del lavoro. Proposte ACTA per la prossima legislatura.

28 Gennaio 2013 Diritti, Fisco, Lavoro, Malattia, Maternità, Previdenza, Vita da freelance

ACTA sottopone a tutti i candidati alle prossime elezioni politiche 5 punti programmatici per la valorizzazione del lavoro autonomo professionale e per una maggiore equità nei confronti delle nuove tipologie di lavoratori e chiede l’adesione alla campagna “Dica: no 33!”

Un piano in 5 punti

1) Un impegno immediato a fermare l’aumento INPS. Dica: no33!

Siamo lavoratori indipendenti, come professionisti, artigiani e commercianti. Ma il nostro prelievo contributivo è del 27%, mentre il loro è rispettivamente del 14% e del 21% (sono previsti aumenti, ma a regime non supererà il 24%). In dieci anni la nostra contribuzione INPS è passata dal 10% all’attuale 27%. E se non sarà cambiata la legge approvata nel 2012, arriverà al 33%. Questo significherà la morte delle nostre attività, in un momento in cui tutti stiamo già lottando per la sopravvivenza economica.

Chiediamo l’equiparazione della nostra contribuzione a quella di tutti gli altri lavoratori autonomi e da subito il blocco del previsto aumento al 33%.

Nel rispetto della Sua visione e in coerenza con le politiche che vorrà perseguire nella prossima legislatura, Le chiediamo di impegnarsi a non gravare il lavoro indipendente professionale di un ulteriore carico che non può più tollerare.
Dica: no33!

2) La valorizzazione del lavoro professionale autonomo come strumento di flessibilità.

In questa fase di pericolosa perdita di produttività complessiva del sistema Italia cresce la consapevolezza dell’importanza di stabilire, in mercati globali sempre più competitivi e in produzioni sempre meno standardizzate, misure in grado di incrementare produttività e innovazione, con vari strumenti tra cui l’incentivazione della mobilità e della flessibilità di prestazioni e tempi. Noi lavoratori autonomi professionali collaboriamo al business delle aziende-clienti, fornendo competenze specialistiche necessarie all’innovazione e integrandoci con la massima flessibilità nei processi di produzione e di creazione di servizi, nel rispetto delle esigenze organizzative e degli obiettivi previsti dai committenti. Lo sviluppo delle forme di collaborazione autonoma professionale nasce proprio da queste esigenze di innovazione e di flessibilità delle imprese. Noi lavoratori della conoscenza, che investiamo sulla nostra formazione e aggiornamento professionale, che accettiamo di lavorare ed essere valutati per obiettivi, che ci assumiamo i rischi della nostra occupazione siamo un’area di lavoro preziosa per l’economia, ma il nostro contributo non é riconosciuto e valorizzato.

Con i dipendenti condividiamo l’impossibilità di evasione (perché pagati solo a fronte della fatturazione regolare di tutte le prestazioni ad aziende e pubblica amministrazione), ma non il sistema di protezioni e siamo penalizzati da:

  1. Un’imposizione fiscale contributiva complessivamente superiore a quella dei dipendenti, ma a fronte di una fortissima disparità di diritti (nessuna tutela da disoccupazione, scarsa tutela da malattia, etc).
  2. Una tassazione più elevata quando il reddito di è soggetto a significativi sbalzi (situazione frequente perché la distribuzione degli impegni dipende dal mercato e perché i ritardi nei pagamenti possono determinare notevoli scostamenti negli incassi). La distribuzione irregolare del reddito determina un maggior carico fiscale e squilibri negli anticipi fiscali e contributivi. (Percepire in tre anni un reddito di 30.000 euro il primo anno, 90.000 il secondo e 30.000 il terzo è ben diverso che percepire un reddito costante di 50.000 euro. Nella prima ipotesi il contribuente ha un carico fiscale molto più elevato e nel terzo anno dovrà anticipare contributi e imposte in misura molto maggiore, con forti squilibri per la sua gestione finanziaria). L’opportunità di un picco di reddito può trasformarsi in un problema.
  3. L’impossibilità di dedurre integralmente costi vitali per la sopravvivenza lavorativa, legati all’aggiornamento e all’innovazione;
  4. L’obbligo ad una doppia contribuzione previdenziale (al’inps gestione separata e alla cassa commercianti) quando costituiamo Srl: un importante ostacolo all’aggregazione, così necessaria in un mercato fortemente e per questo poco competitivo;
  5. Un sistema burocratico sempre più costoso ed un rapporto fortemente asimmetrico nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate.

Proponiamo:

  1. L’istituzione di un regime fiscale agevolato, sul modello esistente in altri paesi europei (es. Regno Unito), che interessi i lavoratori con un fatturato non superiore ai 70-80.000 euro e che rappresenti un reale incentivo all’iniziativa autonoma e alla creazione di nuova occupazione.
  2. L’applicazione di aliquote e anticipi definiti sulla media di tre anni di reddito e non sul dato annuale, in modo da non penalizzare chi subisce forti oscillazioni negli impegni e nei compensi;
  3. La revisione del sistema di spese deducibili inerenti l’attività, in linea con le esigenze di del nuovo lavoro professionale autonomo di assicurare competenze aggiornate, innovazione e mobilità : in particolare evidenziamo la necessità di prevedere la totale deducibilità delle spese in formazione, l’ammortamento anticipato dei prodotti ad alta tecnologia e la totale deduzione delle spese legate a trasferte;
  4. Una politica che rimuova la doppia contribuzione previdenziale per i professionisti soci di Srl e che preveda l’assoggettamento di tutti i redditi dei soci professionisti esclusivamente alla gestione commercianti;
  5. Una semplificazione burocratica e il superamento di misure nate per le imprese: IRAP, anticipo IVA e interesse per IVA trimestrale e una simmetria di diritti nei rapporti con lo Stato, attraverso:
    a) l’utilizzo degli studi di settore e del redditometro esclusivamente come strumenti indicativi, senza scaricare sul contribuente l’onere della prova, non di rado impossibile da fornire;
    b) la convocazione del contribuente da parte dell’Agenzia delle Entrate prima dell’applicazione di sanzioni pesanti;
    c) il rimborso delle spese sostenute dal contribuente in risposta a contestazioni fiscali o entro un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, quando dimostra di essere stato corretto.

3) L’impegno comune per ridare valore al lavoro.

Negli ultimi anni si è assistito ad una forte compressione delle tariffe professionali, una svalorizzazione del lavoro che si traduce anche in un generale peggioramento dei servizi. Proponiamo di affrontare i problemi della svalutazione dei compensi, con un mix di interventi:

  1. L’introduzione, sull’esempio dei principali paesi europei, di un salario minimo per le attività subordinate non coperte dalla contrattazione collettiva, al fine di eliminare il lavoro gratuito, una vera e propria piaga del nostro mercato del lavoro, che contribuisce a ridurre i compensi di tutto il lavoro non dipendente;
  2. La fissazione, in collaborazione con le associazioni di categoria, di tariffe eque per le prestazioni professionali, che rappresentino un riferimento per professionisti e committenti. Sull’esempio di quanto si intende fare con la legge per l’equo compenso dei giornalisti freelance, si chiede uno strumento per porre un argine alla perdita di valore del lavoro professionale;
  3. La definizione, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di regole dei bandi che contrastino il diffondersi delle gare al massimo ribasso, che riconoscano un equo compenso al lavoro e ne verifichino il rispetto in tutta la catena di subfornitura

4) Una giusta pensione per un equo patto generazionale.

Il dibattito sulle pensioni continua ad essere polarizzato dai problemi dei pensionati e pensionandi, che hanno fruito o fruiranno di una pensione totalmente o principalmente retributiva.
Chiediamo attenzione sui problemi di chi avrà una pensione contributiva: tutte le proiezioni mettono in evidenza che i futuri pensionati si troveranno in condizioni economiche molto peggiori degli attuali, a causa di meccanismi di rivalutazione inadeguati e di coefficienti di conversione “avari”.
La situazione è particolarmente critica per noi, espressione di un mercato del lavoro nuovo, ma con un welfare ancorato al passato: non siamo tutelati, non solo in termini di mancato guadagno, ma anche di versamenti pensionistici, nelle situazioni di non lavoro per malattia, disoccupazione e lavori di cura.
Per primi sperimenteremo, e in qualche caso stiamo già sperimentando, gli effetti del sistema contributivo, senza che siano stati previsti interventi di transizione.
Proponiamo:

  1. Che anche nel sistema contributivo si recuperi la finalità solidaristica delle pensioni, prevedendo una pensione base (aggiuntiva a quella puramente contributiva) legata al numero degli anni lavorati, indipendentemente dai contributi versati e dalla tipologia di lavoro svolto;
  2. La definizione di misure transitorie per chi va in pensione entro i prossimi 10-15 anni, che, se ricade interamente nel regime contributivo, rischia di non raggiungere neppure l’ammontare previsto per l’assegno sociale e di non poter andare in pensione prima dei 70 anni (uno dei requisiti per la pensione a 65 anni è aver maturato una pensione almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale);
  3. L’introduzione di contributi pensionistici figurativi a copertura degli impegni di cura familiare;
  4. L’equiparazione ai dipendenti per quanto concerne i benefici fiscali per il finanziamento del pilastro privato, al fine di consentire anche a noi autonomi la possibilità di godere un’analoga pensione complementare.

5) Un nuovo welfare tra universalità e mutualismo.

L’accesso a diritti all’assistenza ed alla protezione della persona è incerto e inadeguato per chi non è dipendente, in particolare per chi, come sempre più spesso accade, oscilla tra occupazione dipendente, occupazione indipendente e disoccupazione. L’accesso al welfare, infatti, è legato a versamenti pregressi nella situazione di lavoro autonomo, ai versamenti del periodo attuale se si lavora come dipendente, generalmente impossibile per chi è senza occupazione. Per la malattia, le prestazioni previste sono esigue, non garantiscono una reale tutela e non riguardano tutti i contribuenti.
L’obiettivo generale è la costruzione di un welfare universale, che consenta a tutti un reddito nelle situazioni di maternità, malattia, disoccupazione e cura familiare.
In attesa che si creino le condizioni perché questo sia possibile, proponiamo un mix di interventi:

  1. l’adozione di un provvedimento di maternità universale, che intervenga nelle situazioni in cui manca o è insufficiente la copertura lavorativa.
    Su una questione di importanza centrale per lo sviluppo umano, come la maternità, riteniamo necessario superare da subito la logica delle tutele esclusivamente legate all’occupazione. E’ importante favorire la libera scelta delle donne di avere dei figli e il riequilibrio della fecondità, dare l’opportunità alle giovani di non attendere un lavoro stabile prima di fare un figlio. Chiediamo un assegno di maternità, pari al 150% della pensione sociale (al 2012 circa 700 euro mensili, per 5 mesi), a carico della fiscalità generale, con contributi a carico INPS, nei casi in cui non sia prevista alcuna indennità o ad integrazione di indennità esistenti.
  2. Il riconoscimento dei congedi parentali anche ai padri professionisti autonomi, per favorire la pena condivisione del ruolo genitoriale. Potrà essere erogato dall’INPS, con la quota già versata per le tutele connesse alla maternità;
  3. Il diritto ad una reale copertura della malattia, attraverso il mutualismo. Chiediamo la possibilità di sostituire l’obbligo di versamento all’INPS per malattia, con l’adesione ad una società di mutuo soccorso, mantenendone la totale deducibilità. A tal fine si chiede la riduzione del versamento previdenziale INPS (opting out parziale) per le spese assistenziali dallo 0,72% attuale allo 0,30%, quota necessaria alla tutela della maternità.

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Amministratore del Sistema

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3 Commenti

  1. Sandro Santilli

    Reply

    Il punto 2 non mi e’ chiaro. Se non sbaglio gli acconti che si danno possono essere calcolati con il metodo previsionale, per cui se un anno guadagni poco puoi versare in base al poco che guadagni.

    Calcolare il dovuto su base triennale potrebbe essere peggio, perche’ se un’anno mi va malissimo, dopo due anni di vele gonfie, mi troverei a pagare magari anche piu’ di quello che mi entra …

    28 Gen 2013

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di Amministratore del Sistema tempo di lettura: 7 min
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