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Una persona salta su uno specchio d'acqua

Lamentarsi è un diritto?

19 Giugno 2020 News, Vita da freelance

Lavoro con partita IVA da circa vent’anni. Sono tanti. E tante sono le cose che sono cambiate. Nel modo di lavorare, negli strumenti a disposizione, nel mercato del lavoro.

Ma c’è un atteggiamento che mi ha colpita sin dall’inizio e che è rimasto immutato: la tendenza alla lamentela perenne delle colleghe e dei colleghi, un po’ in ogni settore, compreso quello delle traduzioni, in cui lavoro. I punti principali del malcontento sono i seguenti:

– compensi bassi;

– concorrenza sleale;

– ritardo nei pagamenti;

– danni alla professione dovuti alla globalizzazione;

– una serie di rimostranze trasversali di ogni genere e foggia su vari argomenti connessi con l’attività lavorativa.

Devo essere sincera. Non era facile affermarsi come freelance alla fine degli anni ’90 e lo è ancora meno oggi. Provo, non sempre con successo, ad applicare una mia etica professionale e a difendere la mia autonomia di pensiero e di azione e per questo pago un conto abbastanza salato, quindi non sono estranea alla durezza di questo tipo di quotidianità lavorativa.

Inoltre, sono certa che chiunque abbia diritto a una quota di lamentela fine a sé stessa. Ma non solo, ritengo che lamentarsi possa persino rappresentare una valida base per indignarsi. MA A UNA SOLA E UNICA CONDIZIONE. Cioè che alla lamentela segua l’azione.

E non mi riferisco all’azione delle associazioni di settore, del governo, dei sindacati, dei partiti, degli industriali, delle colleghe e dei colleghi, delle multinazionali e della finanza. Intendo dire alla MIA AZIONE.

A quel punto, magicamente, la prospettiva cambia. Anche se la posizione si fa decisamente più scomoda. Perché devo agire. E ciò significa:

– capire cosa voglio cambiare;

– dedicare del tempo a questo cambiamento;

– impegnare energie per la causa che intendo difendere;

– confrontarmi con altre persone per raggiungere obiettivi comuni.

Un percorso tutto in salita, che spesso penso di abbandonare, proprio perché è molto faticoso. Mentre stare sdraiata sul divano che non ho, a criticare tutto e tutti dallo schermo del mio vecchio smartphone o anche solo a piangermi addosso, sarebbe molto più facile. Almeno in apparenza.

Ovviamente, questa azione non esclude il fatto che il mondo in cui vivo e lavoro debba migliorare. Ma se aspetto che il cambiamento arrivi solo dall’esterno, probabilmente sarò stretta da una morsa di disillusione, impotenza, e persino rancore. Nel momento in cui mi attivo, invece, il cambiamento è già iniziato e posso quindi sperare, creare, immaginare e iniziare a mettere in atto ciò a cui aspiro.

C’è un concetto a cui tengo molto, quello di SCELTA. Posso essere obbligata per un periodo ad accettare condizioni di lavoro che ritengo ingiuste. Magari perché devo gestire un’urgenza economica, problemi di salute, familiari o di altro genere. Ma quel periodo deve avere un termine. Se ritengo davvero che le condizioni in cui lavoro siano inique, una volta passata l’emergenza, devo adoperarmi per provare a cambiarle. Se le accetto vita natural durante, vuol dire che il mio bilancio personale di pro e contro è positivo, quindi scelgo di accettarle perché tutto sommato mi fa comodo e mi sto solo costruendo degli alibi per non dovermi sforzare in prima persona. Quindi, la mia lamentela perde di significato, perché in realtà la scelta l’ho compiuta io.

Fortunatamente, anni di lotte di chi ci ha preceduto ci hanno permesso di arrivare a una democrazia che, pur con tutti i suoi limiti, ci permette di associarci, manifestare, fare politica in tanti modi diversi. Senza essere buttati in una cella per il resto dei nostri giorni perché esprimiamo il nostro dissenso. Non mi sembra una cosa da poco.

Un’ultima osservazione a riguardo. Cerco di tenere sempre a mente la parola chiave COERENZA. Essere coerente al 100% nelle mie scelte di vita e lavorative significherebbe essere condannata all’immobilità e ognuno di noi, per sopravvivere, deve accettare dei compromessi. Ma provare a tendere alla coerenza, dà un senso a ciò che faccio. Crea un filo conduttore fra le mie parole e le mie azioni e rivela ciò che sono realmente. Oltre a regalarmi una buona dose di umiltà, perché inevitabilmente mi rendo conto di avere sempre tanto da imparare e margini di miglioramento praticamente infiniti.

Quindi alla domanda “Lamentarsi è un diritto?” risponderei sì, concediamoci qualche dose di sane lamentele. Ma con moderazione. E teniamo bene a mente le nostre tre stelle polari: azione in prima persona, scelta e coerenza. Tutto il resto verrà, naturalmente.

Amministratore del Sistema

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di Amministratore del Sistema tempo di lettura: 3 min
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