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"L'araba fenice della pensione", lettera del socio ACTA Luigi Daghetti al Sole 24 Ore

16 Giugno 2010 Previdenza, Vita da freelance

Lettera indirizzata al Sole 24 Ore

L’araba fenice della pensione

Ho letto gli articoli sull’argomento “le pensioni, oggi” apparsi in questi giorni su vari quotidiani, con critiche, consensi e suggerimenti su ciò che si stà sviluppando (nuove finestre, donne della P.A. ecc).

Purtroppo devo constatare come si continua a considerare ETA’ LAVORATIVA = ETA’ CONTRIBUTIVA
Un’equazione praticamente valida dal 1996 in poi, ovvero dalla nascita della Gestione Separata che, anche se maldestra e artificiosa nei contenuti, è pur sempre una Cassa previdenziale (di infimo ordine per diritti e quote contributive).

Per il passato antecedente al ’96 sono esistite attività lavorative che NON POTEVANO accedere ad alcuna Cassa previdenziale e, quindi, una situazione che inficia totalmente l’equazione sopra descritta.

Cosa comporta questa anomalia?

Molti Lavoratori, entrati nel mondo del lavoro tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 con un’età media di 15-17 anni, hanno vissuto i primi anni d’attività integrando il lavoro (NB: negli anni ’60 si lavorava 44 ore/settimana) con scuole serali per accrescere il proprio bagaglio tecnico culturale.

Successivamente si sono adoperati per migliorare la propria posizione professionale fino ad avviare un’attività autonoma (leggasi consulenza).

Orbene, in questo faticoso percorso (e siamo in tanti, anzi tantissimi) ci troviamo in una situazione di NON AVER DIRITTO alla pensione di vecchiaia già prevista e preventivata al momento del passaggio da dipendente ad autonomo, cioè 60 anni. Inoltre, nonostante l’apertura della nuova posizione contributiva (Gestione Separata), non potremo mai raggiungere i 40 anni di contributi (non di lavoro) per la pensione d’anzianità.

Con la riforma Dini gli anni per la vecchiaia sono passati da 60 a 65, con l’On. Maroni è stata eliminata la clausola di anticipo della vecchiaia contributiva, con il Presidente Prodi è stata creata una finestra fissa di 3-6 mesi, e ora una finestra di 12-18 mesi; siamo passati da 60 a 65, a 65 e mezzo e ora a 66 e mezzo.

In conclusione andremo in pensione, forse, dopo 50 anni di lavoro e 5-10 anni di scuola serale (Istituti tecnici più Università scientifiche) e una costante diminuzione dell’importo causata dalla riduzione dei coefficienti. E’ un continuo supplizio di Tantalo e un’assoluta mancanza dei diritti per chi non ha voce (urla) di piazza.

Nel 1995 (riforma Dini) nessuno, sindacati compresi, s’è opposto a questo “GRADONE” di cinque anni che penalizzava anche molte donne che, ad un certo punto della loro carriera, hanno privilegiato la famiglia certe della loro pensione di vecchiaia a 55 anni. In altri Paesi Europei avevano previsto questa realtà e avevano escluso o attenuato lo scalone per coloro che erano entrati nel mondo del lavoro prima di una certa data, ma in Italia s’è difeso solo la pensione d’anzianità.

Assolutamente non si pretende un calcolo della pensione pari a coloro che hanno versato costantemente i contributi, ma una giusta età pensionistica commisurata alla realtà lavorativa ed ai contributi versati. Da sottolineare che negli anni senza versamenti (non per nostra volontà) abbiamo contribuito indirettamente (tasse) al mantenimento dell’Istituto pensionistico.

Pertanto, arrogandomi la funzione di portavoce di tutti noi “disgraziati” chiediamo di evidenziare nei Suoi articoli queste realtà veramente assurde.

Luigi Daghetti

Luigi Daghetti

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di Luigi Daghetti tempo di lettura: 2 min
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