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Le avventure di Astolfa, biofreelance – 14a puntata

10 Giugno 2016 Vita da freelance

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Dalla penna di bulander alle pagine di Actainrete.it.
Un inedito racconto a puntate, ogni venerdì, per sorridere e prepararsi al meritato weekend.
Cover di Marilena Nardi.

Quattordicesima puntata

[Se te la sei persa o vuoi rileggerla, qui trovi la tredicesima puntata.]

Mangiavetri ovviamente era entusiasta all’idea di cedere una parte del suo 7% al prezzo incredibile che gli veniva offerto.

“Con tutti questi soldi metto su un laboratorio di moda canina tutto mio. Finalmente posso mandare a quel paese ‘lo schifoso’, lui e le sue maledette bestie! Urrah! Anzi, sai che ti dico? Cedo tutta la mia quota e così quella scassaballe impara ad umiliarmi, come ha fatto finora!”

Quando Astolfa lesse il comunicato dell’Ansa che la banca del fratello aveva acquisito il 7% del capitale ebbe un collasso e dovette sniffare un bel po’ di coca per rimettersi in carreggiata.

C’era stato un dibattito acceso sui giornali. Che la Scala venisse data per il recital di un pappagallo sembrava una profanazione ad alcuni. Per altri il problema non era il pappagallo ma il tributo di onore che la città rendeva al massimo poeta italiano. In tal senso si era schierata “La Repubblica” che, con un vibrante editoriale si chiedeva: “quanti italiani hanno davvero letto la Divina
Commedia? Pochi, è il nostro sospetto. E allora a questa massa d’ignoranti si aprano le porte della Scala! Chiediamo ingressi a prezzi politici, così che anche i disoccupati possano godere di questo privilegio e possano gustare i piaceri dell’anima volgendo le spalle ai sobillatori ed ai fomentatori di disordini”.

Venne il giorno delle prove. La Scala era blindata, le vie circostanti chiuse al traffico, gli ingressi del personale e dei tecnici controllati con metal detector. François “Pet” Hollandér, Grey Rose e Glen-gul fatti entrare per un pertugio segreto costruito appositamente in un paio di giorni. Avevano ingaggiato Raul Estrel Mosquitos, scenografo e coreografo di fama mondiale, che aveva disegnato scenari ispirati all’Inferno dantesco ed immaginato per il protagonista qualcosa di assai originale. Glen-gul non avrebbe recitato il primo canto della Divina Commedia appollaiato su un trespolo nel mezzo del palcoscenico, no, avrebbe svolazzato in lungo e in largo, dai bordi di un palco planando sulla platea e poi schizzando in alto per girare attorno al lampadario, posandosi brevemente sulle ringhiere del loggione e poi giù a rotta di collo, per fermarsi sulla spalla di una signora in décolleté. Sempre declamando Dante. Così che gli spettatori fossero costretti a seguirlo nel volo torcendosi il collo. E avessero l’impressione delle pene dell’Inferno.

“Geniale!” aveva esclamato François. Anche Glen-gul trovava la cosa divertente ma anche rispettosa della sua identità di volatile. Doveva essere una sorpresa, ovviamente.

Però, però… tra i tecnici che montavano le scene c’era Peppino Lo Studiato, originario di Pozzuoli, tre lauree, due master, dieci anni di precariato e poi un contratto a tempo determinato come manovale alla Scala, grazie a zia Concettina, ex soprano e amante pro tempore del Sovrintendente. Peppino, purtroppo, aveva dei contatti coi centri sociali, con uno in particolare, il ‘Bagnodisangue’ di via Giambellino, ritenuto tra i più “caldi”. Questo particolare era sfuggito alle maglie fittissime dei controlli di polizia.

La sera del grande evento la Scala scoppia di gente, i biglietti, appena messi in vendita, erano spariti in pochi minuti, grazie anche al loro prezzo stracciato. Inutilmente il Prefetto aveva ammonito che in quel modo avrebbero potuto infiltrarsi dei malintenzionati provenienti dalle file dei disoccupati ma nessuno gli aveva dato retta. Sicché un gruppetto di militanti del ‘Bagnodisangue’ era riuscito a procurarsi degli ingressi grazie alla complicità del parroco della chiesa del Rosario, un prete di base, di quelli che vogliono bene a poveri e rifugiati. Il reverendo aveva acquistato sei posti per il loggione, dicendo che erano per cantori del coro della sua chiesa, ma li aveva passati sottobanco ai ragazzi del centro. In cambio, quelli del ‘Bagnodisangue’ sarebbero andati tutti a
confessarsi da lui, avrebbero fatto la comunione e avrebbero rinominato il centro sociale ‘Bagnodischiuma’. Poterono dunque entrare alla Scala in sei, divisi in due gruppi di tre.

Uno di loro si era travestito da prete e sotto la tonaca portava un sacco di juta, trovato tra gli scarti dell’Esselunga. Un altro s’era travestito da frate e nascondeva sotto il saio un involucro che lo faceva assomigliare a un domenicano ben pasciuto, anzi, un po’ obeso.

[to be continued]

 

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