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Italia Oggi: qualche confusione sul domani pensionistico della Gestione Separata.

9 Gennaio 2014 News, Previdenza

In questo inizio d’anno i giornali hanno dedicato ampio spazio alle pensioni. Vediamo le novità e le analisi che ci riguardano più da vicino.

I fatti: i contributi previdenziali Gestione Separata restano fermi solo per i professionisti “esclusivi”
Con le nostre iniziative (DicaNo33 e la raccolta di quasi 17.000 firme, appello congiunto con le altre associazioni di autonomi) siamo riusciti a bloccare l’aumento dei contributi per i professionisti iscritti alla gestione separata in via esclusiva (che cioè non hanno una pensione o un altro reddito da dipendente), che anche nel 2014 verseranno il 27,72%.
A partire dal 1 gennaio 2014 aumentano invece i contributi per:

  1. collaboratori a progetto e altri parasubordinati (tutte le figure che non hanno partita Iva) iscritti alla gestione separata in via esclusiva, che pagheranno il 28,72%;
  2. partite iva e parasubordinati che sono titolari di pensione o di un reddito dipendente, che verseranno il 22% e non più il 20%

Le analisi: dossier di Italia Oggi sulla gestione separata

Un approfondimento pubblicato il 6 gennaio da Italia Oggi mette in evidenza le difficili prospettive pensionistiche dei collaboratori a progetto.

Le regole pensionistiche per un collaboratore a progetto fanno sì che un anno di lavoro sia computato come tale ai fini pensionistici solo se sono stati versati almeno 4.146,39 euro (riferimento al 2013, come da circolare INPS ) . In caso contrario ai fini pensionistici sarà considerato solo il periodo di tempo proporzionato a quanto versato (ad esempio se sono stati versati la metà dei contributi rispetto a tale limite saranno computati 6 mesi).
Per andare in pensione a 66 anni (tralasciando chi ha versato anche in altre gestioni) occorre rispettare due condizioni:

a) aver versato almeno 20 anni di contributi (al netto dei contributi figurativi e del riscatto di anni di laurea) per andare in pensione a 66 anni;

b) aver maturato il diritto ad una pensione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale (l’importo dell’assegno è 442,3 euro al mese) .

In caso contrario occorrerà aspettare i 70 anni e aver versato almeno 5 anni effettivi di contributi.

Fin qui non possiamo che concordare (è coerente con quanto noi stessi abbiamo scritto sul nostro sito) ed aggiungiamo che è veramente iniquo dover aspettare i 70 anni se non si raggiunge il punto b, soprattutto pensando agli attuali ultra sessantenni che lavorano da ben oltre 20 anni ma non hanno maturato una pensione superiore a 1,5 volte l’assegno sociale e che quindi, pur facendo fatica a continuare a lavorare, sono costretti ad aspettare i 70 anni, senza che la loro situazione ricada nella categoria di “esodati”.

L’approfondimento di Italia Oggi non si ferma qui. Considera che il reddito medio dei collaboratori è inferiore ai 10.000 euro annui e ne deduce che non consentirà ai più di raggiungere il minimale dei 4.146 euro e che quindi per essi non sarà possibile percepire una pensione, infatti scrive :

Pensione a rischio per il 97% dei collaboratori iscritti alla gestione separata Inps.( ….) Colpa di un minimale contributivo che non c’è a favore dei parasubordinati e che rende quasi certa, per oltre 726 mila lavoratori con caratteristiche professionali non definite (co.co.pro, mini co.co.co., lavoratori autonomi occasionali ecc.), l’impossibilità di ottenere una pensione

Non è proprio così.
Nell’articolo si mettono insieme diversi problemi:
a) il problema dei contributi troppo bassi versati mensilmente o annualmente dai co.pro. è legato ai bassi compensi dei collaboratori e all’assenza di un versamento minimale obbligatorio (fortunatamente, perché in molti casi un prelievo obbligatorio così consistente non permetterebbe di sopravvivere nel presente). La situazione è diversa per un dipendente che verserà sempre contributi superiori al minimale contributivo, perché il contratto nazionale del lavoro di riferimento prevede dei minimi di reddito che garantiscono il raggiungimento di tale soglia. E’ anche diversa per un commerciante o un artigiano, che è tenuto a versare almeno il minimale contributivo annuale (più basso di quello dei copro), anche quando il suo reddito imponibile è molto basso (norma probabilmente imposta per obbligare a versare un minimo di contributi a categorie di lavoratori che hanno possibilità di evasione fiscale).
b) il regime pensionistico contributivo è penalizzante per tutti coloro che vi ricadono, come sosteniamo da molto tempo (e ormai lo dicono in tanti). Infatti i coefficienti di conversione sono bassi e tendenzialmente in riduzione (con l’aumento dell’aspettativa di vita) e gli indici di rivalutazione sono legati all’andamento del PIL (non brillante da circa 15 anni e addirittura negativo negli anni di recessione). A differenza del regime retributivo (che si regge sui versamenti degli attuali contributivi) non è proporzionato reddito dell’ultimo anno o degli ultimi 5 anni, ma a tutta la storia lavorativa e quindi contributiva. L’assenza di meccanismi di sostegno al reddito sia durante la vita lavorativa (chi non è dipendente è sostanzialmente escluso dagli ammortizzatori sociali), sia al momento della vecchiaia (il sistema contributivo non prevede alcun intervento di solidarietà), rende drammatica la prospettiva per molti lavoratori.
c) per non avere diritto a una pensione occorre aver versato meno di 5 anni effettivi di contributi, il che significa che nel corso della vita o si è lavorato in nero o si è lavorato davvero molto poco: anche versando la metà del minimo contributivo, con 10 anni si raggiunge il requisito per avere una pensione, seppure molto tardi e molto bassa.

I problemi veri sono: i redditi bassi, l’assenza di sostegni (e copertura pensionistica) in situazione di disoccupazione, l’obbligo di aspettare i 70 anni in caso di versamenti bassi, lo scarso rendimento dell’investimento pensionistico (la contribuzione pensionistica in realtà non è un investimento perché paga le pensioni correnti) e l’assenza di integrazioni di pensioni che potranno essere inferiori all’assegno sociale.

Siamo molto contenti che finalmente questi temi siano divenuti di interesse per i media, ma auspichiamo che siano affrontati con maggiore precisione.

E’ di questi giorni l’annuncio che il 2014 sarà l’anno della busta arancione, ci contiamo anche per tenere alta l’attenzione su un problema che, se non affrontato, rappresenta una vera e propria bomba sociale.

ACTA

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3 Commenti

  1. Dario

    Reply

    Ciao, ho letto anch’io questi articoli, molto interessanti. Forse mi sbaglio, ma credo che nel citare “l’impossibilità di percepire una pensione” l’autore non si riferisse all’impossibilità assoluta, ma alla possibilità che questa fosse basata sulla rivalutazione del montante contributivo, visto che il calcolo avrebbe prodotto una pensione talmente bassa da far scattare l’ipotesi di “assegno”, non di vera e propria pensione.. Forse ho capito male, una cosa è certa, e la condivido in pieno, il problema principale non è il meccanismo perverso e ineguale del trattamento (anche se questo conta e molto che sia perequato), ma i redditi bassi, troppo bassi. Grazie.

    10 Gen 2014
  2. Andrea

    Reply

    Ho letto velocemente ma il problema pensioni riguarda tutti i lavoratori. quello che è sbagliato di base so le disparità tra categorie di lavoratori. Se il sistema è contributivo i coefficienti di conversione devono essere uguali per tutti e questo per uguaglianza e per non creare sempre categorie di pensionati di serie A e B. Poi pensare che tutti potranno lavorare fino a 70 anni è impensabile. Dopo una certa età cadere in certe problematiche fisiche di salute per capirci è quasi normale e non sempre il mondo lavorativo assorbe bene queste persone che devo cambiare stile di vita e lavoro al punto da essere costrette ad abbandonare o quasi il lavoro normale. Il fatto quindi di mettere dei paletti troppo restrittivi per andare in pensione prima è sbagliato. Ultimo i coefficienti di conversione sono troppo bassi e questo è il frutto dei troppi sprechi e di troppi soldi che INPS travasa da Pensione ad assistenza non da ora ma da molti anni. In pratica l’INPS doveva far in modo che ogni lavoratore si costruisse la sua pensione e fosse in grado di pagarsela, invece fino ad ora le generazioni successive pagano in parte la pensione agli attuali e queste destabilizza i conti INPS al punto che fra 10-20 anni o l’INPOS fallisce oppure a fronte di grossi contributi avremo pensioni misere.
    Saluti.

    12 Gen 2014

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di ACTA tempo di lettura: 4 min
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