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Della Legge 4/2013: poi non dite che non ve lo avevamo detto

25 Ottobre 2013 Diritti, Lavoro, News

Ci siamo. Ormai non si tratta più di sospetti, ma di certezza.
Forse, però, occorre fare un po’ di storia.
Quando all’inizio dell’anno venne approvata la famigerata legge 4/2013, me la lessi piuttosto attentamente (d’altra parte, molti amici ne parlavano come di uno strumento indispensabile e non volevo farmi influenzare troppo dai pregiudizi) e cercai di capire in quale piega nascosta si trovassero i vantaggi per noi lavoratori indipendenti non ordinisti. Notai subito una piccola stranezza: una legge per noi lavoratori indipendenti, composta da 11 articoli, ne contiene 2 su noi lavoratori, e ben 9 dedicati alle associazioni di professionisti e alle associazioni di associazioni.
Su noi professionisti, la legge entra molto poco nel merito. Fondamentalmente, spiega chi siamo, ci dice che possiamo fare una serie di cose (che potevamo fare anche prima) e subito mi spiega che dovrei inserire una frasetta in ogni fattura e carta intestata, indicando che sono una professionista di cui alla nuova legge. Ho subito pensato “ecco che iniziano le scocciature”. Irriconoscente che sono, ché poi non capisco i regali che mi si fanno così, gratis: infatti dopo un paio di giorni ricevo per caso una specie di circolare inviata da una associazione professionale (una di quelle che ha dedicato una decina di anni di sforzi e impegno per fare approvare una tale legge) che spiegava come l’aggiunta di questa frase fosse un magistrale punto d’arrivo. Da ora in poi saremo riconoscibili ovunque. Non sarò più Francesca Pesce, traduttrice da inglese e francese di testi finanziari, ma una professionista non regolamentata ai sensi della legge 4/2013. Finalmente siamo stati riconosciuti (cioè?). Ci riconoscono di esistere (ambè). Quindi, io dal 2013, dopo venti anni di professione, dovrei dire ai miei clienti svizzeri o francesi che all’improvviso sono diventata una professionista (già lo sapevano), che lo Stato italiano ha riconosciuto che esisto (sai che risate che si fanno), e mi si chiede di spiegare che non sono organizzata in un ordine professionale. Anche a costo di venire multata per pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, io mi rifiuto, faccio obiezione di coscienza e la mia carta intestata resta quella “antica”.

Fin qui i sospetti: ripeto una legge che su 11 articoli ne dedica praticamente 9 alle associazioni me la dice lunga sulle sue finalità.

Intanto il tempo passa. Nove mesi, il tempo di una gravidanza a termine. Proviamo quindi a vedere come mi è migliorata la vita con questa legge, o quali prospettive di miglioramento mi offre per i prossimi mesi.
In primo luogo, io non sono iscritta ad una associazione di cui alla legge 4/2013. Non l’ho fatto in 20 anni, e non vedo perché dovrei farlo ora. E allora? E allora niente. Se non sei iscritta, la legge dice semplicemente di scrivere la famosa frase sulla fattura, e di continuare come prima. D’altra parte, cosa pretendevo: la legge 4/2013 non parla di me, parla delle associazioni, spiega che sono realtà che possono fare una serie di attività, azioni, interventi. Chi vuole si iscrive, ne segue i dettami, le promuove. Le associazioni si possono unire in rete per offrire rappresentanza e servizi vari. (E infatti si sono super-attrezzate per poter offrire una miriade di servizi).

I sospetti continuano ad aumentare, ma ancora non si scorge nulla di troppo grave.
Ma poi cosa scopro all’improvviso, quasi per caso? Scopro che il celeberrimo decreto “del fare”, il D.L. 69/2013, dispone il potenziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all’art. 2, co. 100, lett. a), L. 662/1996. E qui per “potenziare” si intende ampliare il bacino di utenza, l’estensione della copertura di questo fondo finalizzato a dare una forma di sostegno al credito. L’estensione va nel senso di inserire le imprese di autotrasporto, i professionisti ordinisti e – udite udite! – i professionisti non regolamentati, aderenti alle associazioni professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo economico ed in possesso dell’attestazione rilasciata dall’associazione ex L. 4/2013.

Fermi tutti! Oggi, 24 ottobre, lo Stato mi sta dicendo che se mi occorre un sostegno pubblico sotto forma di una specie di garanzia del credito, sono obbligato ad avere la tessera, e pure la tessera giusta? Non una qualsiasi? Cioè, la mia amica Lucia, iscritta (da anni, perché ci crede davvero che abbia un senso associarsi) ad una associazione di traduttori che tra le prime ha voluto essere nel famigerato elenco del Ministero dello Sviluppo economico, può fare richiesta, mentre io ,iscritta ad ACTA, non posso? E sulla base di quale legge avviene questo? Chi ha dato al governo italiano il diritto di discriminare in base all’iscrizione ad una associazione, alla associazione “giusta”? Chi ha dato al governo italiano il diritto di alterare in questo modo le dinamiche della concorrenza, offrendo selettivamente sostegno ad alcuni lavoratori ma non ad altri all’interno dello stesso settore di attività?

Adesso qualcuno abbia ancora il coraggio di dirmi che questa legge è stata voluta per il bene di noi lavoratori indipendenti, o financo dei consumatori. Che le associazioni l’hanno fatto per noi. Che non l’hanno fatto per accrescere i loro piccoli orticelli. Che lo scopo era di accrescere le potenzialità, i diritti, le possibilità, la professionalità dei lavoratori. Oppure di difendere i consumatori. Se passa questa idea – ed era l’idea che temevo, il mio pregiudizio iniziale, il motivo per cui da sempre mi oppongo a questa legge – ci consegniamo tutti, mani e piedi, alle associazioni. È solo il primo passo, ma è un passo che restringe i miei diritti, e quelli di tanti come me. Non sarò infatti più io Francesca Pesce, traduttrice da inglese e francese di testi finanziari, da oltre 20 anni, ad essere riconosciuta come soggetto depositario di diritti e doveri nella mia veste di lavoratrice indipendente: tutt’altro, potrò accedere a quei diritti se, e solo se, accetterò di chiedere la tessera di una associazione e se quella associazione mi accetterà nei suoi ranghi. Quell’associazione deciderà chi potrà e chi non potrà avere titolo. Non il mercato né la legge, ma una associazione privata, tra privati, anzi come recita la legge 4/2013

di natura privatistica, fondata su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

Parole al vento. Alle quali solo un ingenuo poteva credere.

Francesca Pesce

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8 Commenti

  1. Adele Oliveri

    Reply

    Trovo veramente stridente l’ipocrisia alla base di tutto l’approccio. Da un lato la legge 4/2013 parla di “rispetto delle regole sulla concorrenza”, dall’altro lo Stato è il primo a violare queste regole offrendo selettivamente agevolazioni sono ad alcuni lavoratori autonomi ma non ad altri, in base al fatto che siano iscritti o meno a un’associazione. Se l’iscrizione all’associazione non è obbligatoria ai fini dell’esercizio della professione, perché mai dovrebbe essere un requisito per accedere ad agevolazioni o finanziamenti pubblici? Di questo passo mi aspetto che presto o tardi si dirà che l’iscrizione a un’associazione riconosciuta è un requisito per lavorare per la Pubblica amministrazione. Questo significa alterare artificialmente le regole della concorrenza a vantaggio delle lobby. Mi chiedo se ci sono gli estremi per fare ricorso.

    25 Ott 2013
  2. cristina

    Reply

    Questo per altro non capita con le imprese: non devi essere iscritto a confcommercio o a confindustria per avere un’agevolazione, perchè dovrebbe valere solo per noi????

    25 Ott 2013
  3. paolo

    Reply

    Tutto il racconto mi dà delle ottime giustificazioni al perché mi viene voglia di insultare chi si atteggia a classe dirigente.
    E mi consola sapere che ci sono dei motivi reali per cui meritiamo il default.

    25 Ott 2013
  4. Gilberto Allesina

    Reply

    Questo sarà il mio ultimo anno come partita IVA in Italia. Basta. Da quando provo a lavorare qui non ho visto una sola misura di tutela dello stato nel confronto delle nostre attività professionali. Questo sì è un paese del fare: fare le valigie e andarsene!

    25 Ott 2013
  5. Emanuele

    Reply

    Il paese del bla bla… che tristezza.. Amici miei, io ahimè l’ho fatto solo da socio, ma apprezzo l’Acta e chi si impegna.. ma questa nazione è ai minimi termini ormai, al contrario di quello che pensava Cavour l’Italiani c’erano e ci sono sempre stati, era invece l’Italia intesa come insieme di Italiani quella da fare, ed ancora non c’è.. ma l’ottica si sposta sui lustri o i secoli, mia figlia non so se vorrà essere un eroina continuando a combattere in questi luoghi, io ho il dovere di metterla perlomeno nella migliore condizione che riesco..

    25 Ott 2013
  6. Mario Panzeri

    Reply

    Mi sembra che la domanda che si pone Adele non sia affatto fuori luogo: si tratta di una palese violazione delle regole sulla concorrenza. Credo che prima che si arrivi a discriminazioni ancora più gravi di quella riportata da Francesca si renda necessario presentare un ricorso. Non sono un esperto, ma l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – sulla correttezza del funzionamento della quale ho peraltro qualche riserva – dovrebbe essere il riferimento naturale. La situazione è davvero disperata, in generale: se non si ribatte colpo su colpo alle angherie e alle vessazioni messe in atto contro cittadini e lavoratori non rappresentati dagli amici degli amici da una burocrazia becera e opprimente, dai governi sempre più autoreferenziali che si succedono e dalle tante lobby avide di privilegi e di risorse (il miliardo regalato alle banche dalla recente legge di stabilità ne è un esempio lampante), siamo destinati a finire in breve tempo a dormire sotto un ponte.
    Mi chiedo anche se non ci si potrebbe coordinare per denunciare quanto evidenziato da Francesca ai principali organi di stampa.

    26 Ott 2013
  7. Francesco

    Reply

    Si è vero, la legge 4/2013 è un aiuto alle associazioni, iscritte al Ministero dello sviluppo economico e contemporaneamente una esclusione dai diritti soprariportati per il professionista non iscritto.
    Sarebbe opportuno denunciare questo comportamento anche alla Commissione Europea.

    29 Ott 2013
  8. sergio

    Reply

    RIFLESSIONE A VOCE ALTA – Il D.L. 69/2013 (Decreto del Fare), che prima di oggi non conoscevo in questi dettagli, ai miei occhi appare comunque essere un secondo segnale di attenzione(dopo la L. 4/2013) nei confronti del mio mondo, cioè quello dei professionisti non iscritti agli ordini, seppur costituendo esso stesso un elemento di discriminazione all’interno di questo (professionisti organizzati in associazioni e non organizzati). L’anomalia tuttavia, a mio avviso, rimane un’altra. La cecità di troppi rispetto alla vera discriminazione che c’è tra professionisti iscritti agli albi, che pagano in media il 15% di contributi previdenziali, e quelli non iscritti che ne pagano il 27,72%, crescente. Signori parliamo di oltre 10 punti percentuali di differenza! Parliamo della esistenza o meno di questa categoria di lavoro in Italia la quale, in alcuni casi, si trova in concorrenza con i professionisti iscritti agli albi! Come pensiamo di occuparci dei dettagli se prima non risolviamo questa “anomalia” macroscopica e ceca di una politica che va verso la distruzione del lavoro autonomo vero, quello che nasce fuori dai protezionismi degli albi nati nei secoli scorsi. Io non avro’ problemi ad iscrivermi ad un’associazione che vorrà dimostrare di impegnarsi per RIDURRE DRASTICAMENTE l’aliquota della gestione separata per portarla al livello di quella degli altri professionisti cosiddetti “ordinistici”. Speriamo che gli incontri con i politici in corso portino dei risultati in tal senso. Complimenti a tutti quelli che si stanno dando da fare in tal senso.

    4 Nov 2013

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Della Legge 4/2013: poi non dite che non ve lo avevamo detto

di Francesca Pesce tempo di lettura: 4 min
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