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Equi compensi e mimimi orari: come farsi pagare di più?

16 Gennaio 2013 Lavoro, Vita da freelance

Pubblichiamo un’intervista di Barbara Imbergamo ad Anna Soru a commento di alcuni risultati dell’indagine ACTA.

Barbara: Se molti lavoratori a p. iva “non arrivano a fine mese” (sono il 22,6% secondo la rilevazione Acta) e chi ci arriva appena (oltre il 47%) è evidente che c’è un problema di tariffe e compensi non proporzionati al lavoro svolto. Cosa è successo? È solo effetto della crisi?
Anna: Non è solo per la crisi. La crisi ha accelerato un processo in atto da anni. In passato i consulenti e gli autonomi stavano meglio sia perché il mercato era più florido sia perché la concorrenza era molto più limitata. L’aumento del peso fiscale e contributivo, che non è stato possibile trasferire ai clienti, ha fatto il resto.
Comunque distinguerei due problemi: uno di tariffe e uno di continuità del lavoro. Se il problema della continuità fa parte del gioco, è connaturato all’essere autonomi, quello delle tariffe è invece una anomalia tutta italiana. Paradossalmente molto spesso ad un autonomo vengono proposti compensi inferiori ai compensi che percepiscono i dipendenti per attività paragonabili.

Barbara: È un problema tipicamente italiano e legato al nanismo delle imprese e al loro comprare pochi servizi qualificati?
Anna : Sicuramente lo è. Le imprese italiane sono piccole, tra quelle medie poi molte hanno un’impostazione a “conduzione familiare” e tendono a non comprare servizi qualificati, anche perché sono presenti soprattutto in settori tradizionali, non innovativi. Se si considera poi che quelle molto grandi si rivolgono principalmente ad un’offerta estera si vede che il mercato è “piccolo” e il lavoro qualificato è scarsamente riconosciuto come un valore aggiunto. E dunque poco pagato.
Le pubbliche amministrazioni infine hanno sempre meno soldi e, spesso, una limitata capacità di scegliere su quali servizi pregiati investirli.

Barbara: Quale è la cifra che secondo te rappresenta il costo medio di vendita di una giornata di lavoro di un professionista in Italia?
Anna : Non si può dare una risposta che valga per tutte le professioni. La situazione è molto variegata e riflette il diverso rapporto di forza tra domanda e offerta e la diversa percezione dell’importanza dei differenti servizi. Nelle professioni più tecniche il mercato ha tenuto sia perché si tratta di competenze meno diffuse, sia perché chi acquista ha maggiori difficoltà a coprirle con l’improvvisazione. Mi spiego meglio. Difficilmente un’azienda farà a meno di un informatico per mettere a punto la rete informatica o un programma. Al contrario tante aziende sono convinte di poter fare a meno di un esperto sui temi della comunicazione, non significa che sia vero, ma non è facile far loro capire la differenza tra una comunicazione professionale e una “arrangiata”.

Barbara: Come fare per fare aumentare a livelli dignitosi il valore delle tariffe?
Anna : Da una parte si dovrebbe introdurre un salario minimo orario da applicare alle prestazioni a tempo, dall’altra parte definire dei minimi tariffari per le prestazioni professionali. Parliamo di tariffe perché nel lavoro autonomo non si remunera il tempo, ma la prestazione (l’articolo di un giornale, una consulenza di marketing, una ricerca di mercato…).
Il salario minimo (da non confondere con il reddito minimo garantito) è una misura che esiste in moltissimi altri paesi avanzati ed è appunto un minimo orario, uguale per tutti, al di sotto del quale non si può andare. Recentemente è stato proposto dal presidente dell’Eurogruppo Juncker per tutti i paesi dell’area Euro, ma i sindacati italiani hanno respinto tale proposta, come sempre preoccupati di difendere il proprio territorio. Invece sarebbe una misura fondamentale per eliminare il lavoro gratuito o semi-gratuito, quello svolto da stagisti, praticanti, ma anche da tanti altri non occupati che si adattano ad accettare lavori non pagati o quasi nella speranza o nell’illusione di un’occupazione “normale”. In questa direzione si dovrebbe andare con l’equo compenso previsto dalla riforma Fornero per i collaboratori, ma solo per questa categoria e chissà con quali tempi! Come puoi vedere dai dati della nostra ricerca il lavoro gratuito è una vera piaga, sia per chi si presta a lavorare a tali condizioni, sia più in generale perché si rovina il mercato.
Il discorso sui minimi tariffari é un discorso molto controcorrente, visto che i minimi tariffari sono sempre stati visti come l’emblema del protezionismo e da poco sono stati aboliti anche per gli ordinisti. Ma in mercati iperaffollati in cui le posizioni oligopolistiche di certo non esistono più e in cui invece il problema principale è una competizione spasmodica che spinge al ribasso dei prezzi, la definizione di tariffe minime sarebbe il contraltare della contrattazione collettiva per il lavoro dipendente. Certo sarebbe difficile renderli vincolanti, ma servirebbero comunque a fornire dei criteri sia ai professionisti, sia ai committenti.
Per ogni attività professionale dovrebbero essere individuati dei parametri e dei minimi per le principali prestazioni (ad esempio per i traduttori il parametro è la cartella, la tariffa può essere diversa per tipologia di traduzione). Niente di diverso da quanto si ha intenzione di fare con i giornalisti, in seguito all’approvazione della nuova norma sull’equo compenso. Potrebbe essere questo un compito delle associazioni professionali, un compito ben più importante di quelli loro assegnati dalla legge di regolamentazione delle associazioni…

Barbara: Volendo dare un suggerimento a chi sta aprendo la partita iva: come è corretto calcolare il valore di una giornata di lavoro?
Anna : Gli errori più frequenti sono due: non riflettere su quanto servirà a pagare imposte e contributi (almeno il 50%) e computare esclusivamente il tempo netto di lavoro.
Alla stima del tempo che si presuppone di dover impiegare per la prestazione richiesta va invece aggiunto il tempo impiegato per attività non direttamente produttive: la ricerca del cliente, la contrattazione, l’attività amministrativa, la formazione e l’aggiornamento. Infine va considerato che non saranno pagate le ferie, le malattie, i periodi di non occupazione.

ACTA

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4 Commenti

  1. Federica

    Reply

    Facendo un giro su siti come Elance che pubblicano migliaia di offerte id lavoro al giorno, si noterà immediatamente almeno un paio di cose:
    1) Il mercato è globale, sempre di più. Mi posso proporre dall’Italia di svolgere un lavoro per un committente australiano che non mi vedrà mai in faccia. Dunque il discorso del salario minimo lascia il tempo che trova, perché se fossimo in grado di coordinarci a livello mondiale, saremmo in un altro pianeta che forse non rischierebbe l’estinzione della specie umana da qui a 50 anni;
    2) Sono i lavoratori freelance i primi a rovinare il mercato, non i committenti. Lo rovinano con i prezzi bassi e lo rovinano mettendosi nelle mani di un committente. I finti freelance esistono, eccome, e sono finti solo per causa propria, perché vivono nella speranza futura di un’adozione, il tipico miraggio dell’oasi mentre ci si appresta a morire di sete nel deserto.
    Il ruolo di un’associazione come ACTA è innanzitutto rivolgersi ai professionisti, ed è ai professionisti che bisogna spiegare, senza paternalismi e con la dovuta severità se necessario, perché puntare sul prezzo basso è un errore clamoroso che si paga chiaro; e non ultimo, spiegare che essere veri freelance, tutto sommato, è decisamente meglio che essere finti freelance o freelance in attesa di Godot-contratto.

    16 Gen 2013

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Equi compensi e mimimi orari: come farsi pagare di più?

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