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Considerazioni sulla convenienza fra gestione separata e gestione commercianti

7 Gennaio 2013 Fisco, Previdenza

Alcuni professionisti indipendenti scelgono di esercitare le loro attività costituendo una società in accomandita semplice (s.a.s.), cosa che conferisce loro il diritto di iscriversi alla gestione commercianti, la cassa previdenziale gestita dall’INPS per commercianti e artigiani, con contributi previdenziali pari al 21,39% del reddito imponibile, a fronte del 27,72% che versano invece alla gestione separata dell’INPS i professionisti non ordinisti non iscritti ad altre casse previdenziali che esercitano con partita IVA.

Questa differenza fra aliquote previdenziali – che fa sembrare più conveniente l’iscrizione alla gestione commercianti – offre lo spunto a chi scrive di ribadire un punto sottolineato in un corso che Acta Roma ha tenuto di recente nella Capitale, vale a dire che c’è una differenza fra cassa e patrimonio e che un apparente vantaggio in termini della prima non si traduce automaticamente in un beneficio in termini di quest’ultimo. In altre parole, il possesso di una quantità maggiore di contanti non implica automaticamente una maggiore ricchezza. Questo dell’illusione monetaria è un tema che abbiamo già trattato in passato in merito alla scarsa convenienza per lo Stato ad aumentare le aliquote previdenziali (Dell’illusione monetaria ovvero dell’incompetenza dei controllori).

Quella che segue è un’analisi di convenienza economica che potrebbe essere eseguita da chi medita un eventuale passaggio dalla gestione separata alla gestione commercianti alla luce della sola differenza fra le aliquote previdenziali, per dimostrare che quello che è un apparente vantaggio potrebbe alla fine non rivelarsi tale.

L’analisi non è assolutamente esaustiva e tutte le considerazioni necessarie a compiere un passaggio del genere devono essere valutate molto attentamente con il proprio commercialista e in considerazione delle proprie circostanze personali.

L’analisi si basa su alcune premesse:

1) Data la differenza fra tasse e contributi previdenziali è più conveniente pagare 2.000 euro di contributi, perché in qualche modo ritornano sotto forma di pensione (al netto di tutti i ragionamenti che facciamo sull’esiguità dei rendimenti, ecc.), anziché 1000 euro di tasse (p. es. IRAP);

2) L’iscrizione alla gestione commercianti non dà diritto alla rivalsa del 4% che è disponibile invece a chi è iscritto alla gestione separata dell’INPS;

3) Per chi lavora da casa, la costituzione di una società che dà diritto all’iscrizione alla gestione commercianti non consente di scaricare le spese di casa per uso promiscuo, vale a dire al 50%, ma solo nella misura dello spazio effettivamente utilizzato per svolgere l’attività. Ai fini della nostra analisi, quindi, ipotizziamo che l’impresa commerciale possa dedurre dall’imponibile la metà della somma deducibile da chi esercita invece con partita IVA (in altre parole, lo spazio della casa dedicato alle attività professionali è pari al 25%).

L’analisi parte da un fatturato totale per le situazioni messe a confronto di 50.000 euro ciascuno. Un contributo al fatturato di chi esercita con partita IVA è dato dalla rivalsa INPS, che qui ipotizziamo pari al 3% del totale, perché tale rivalsa non è sempre addebitata a tutti i clienti. Ipotizziamo inoltre che le attività siano svolte da casa e che i costi sostenuti comprendano spese di casa deducibili pari 5.000 euro per chi esercita con P. IVA, con beneficio di cassa netto pari a circa 2.250 euro (considerando l’aliquota previdenziale del 27,72% e un’aliquota fiscale media del 25%), e pari a 2.500 euro per chi esercita sotto forma di impresa commerciale, con beneficio di cassa netto pari a circa 1.050 euro (considerando l’aliquota previdenziale del 21,39% e un’aliquota fiscale media del 26%).

Quanto sopra mostra che il reddito netto dell’impresa commerciale è maggiore di quello generato dell’attività professionale svolta con partita IVA. D’altro canto, il professionista ha pagato 2532 euro in più di contributi previdenziali mentre l’impresa commerciale ha pagato 2.037, 16 euro in più di tasse (IRAP + IRPEF).

Infatti lo stato patrimoniale di entrambi – ipotizzando che non siano stati fatti prelievi dal reddito – a fine anno si presenta come segue:

In altre parole, il patrimonio – vale a dire la ricchezza –del professionista è maggiore di quella dell’esercente l’impresa commerciale.

Lo schema in basso riporta invece il rendiconto finanziario rettificato per la rivalsa INPS e per le spese deducibili per il professionista e non deducibili per l’attività commerciale.

La tabella mostra che per rendere omogenei i due tipi di reddito si deve decurtare il fatturato dell’attività commerciale per i 1.500,00 euro che le norme consentono ai professionisti con P.IVA di addebitare ai clienti in fattura e per i 1.200 euro che chi esercita da casa mediante impresa commerciale deve spendere in più rispetto a quanto spenderebbe se esercitasse con P.IVA.
Anche sotto questo profilo il vantaggio per chi esercita con P. IVA è maggiore

Concludo ribadendo che l’analisi è un’indicazione di massima per consentire a chi deve compiere delle scelte di considerare tutti gli aspetti relativi alle proprie circostanze e non solo quelle legate ai benefici immediati di cassa.

Infine, tengo a sottolineare che, in un mondo in cui vige il sistema previdenziale a contributi definiti, è importante considerare quanto accumulato nel fondo pensione pubblico come risparmio, quindi come parte del patrimonio personale.

Silvestro De Falco

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12 Commenti

  1. Manuel

    Reply

    1. Nell’articolo ci si dimentica che il socio accomandante di una SAS non paga i contributi previdenziali. Quindi i contributi previdenziali vengono pagati solo su 20.000 euro, non su 40.000. In effetti la costituzione di una SAS diventa veramente conveniente se è possibile coinvolgere il coniuge disoccupato (che magari dà anche una mano nell’attività). Infatti oltre al vantaggio in termini previdenziali, bisogna considerare che i ricavi verranno divisi su due redditi distinti, generando un vantaggio anche in termini di IRPEF (non si raggiungeranno gli scaglioni più alti).

    2. E’ vero che non è possibile addebitare la rivalsa del 4%, ma in molti casi è possibile mantenere coi propri clienti la stessa tariffa: se prima per un’ora di lavoro fatturavo 40 € + 4%, adesso fatturo 41,60 €. Per il cliente non è cambiato niente, quindi è improbabile che faccia storie. Io ho fatto così.

    7 Gen 2013
  2. Silvestro De Falco

    Reply

    Caro Manuel,

    grazie per la precisazione.

    Per quanto riguarda gli obblighi assicurativi e contributivi dei soci accomandanti di Società in accomandita semplice, tali soggetti sono iscrivibili alla Gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali ove concorrano le due seguenti condizioni:

    1) un rapporto di parentela ovvero di affinità entro il terzo (3°) grado con il socio accomandatario (cfr. articolo 1, comma 206 della legge n. 662/1996; circolare INPS n.25 del 7 febbraio 1997);

    2) l’effettivo svolgimento dell’attività istituzionale della Società con carattere di abitualità e di prevalenza

    http://www.inps.it/circolari/Circolare%20numero%2012%20del%201-2-2008.htm

    Per quanto riguarda il resto, le domande da porsi per chi prende in considerazione una transizione all’impresa commerciale è: sto pagando di più in tasse di quello che pagherei se continuassi ad operare con la P. IVA? Mi conviene pagare di più in tasse per risparmiare sui contributi (che comunque costituiscono parte del patrimonio)?

    7 Gen 2013
  3. Anna Soru

    Reply

    Caro Silvestro,

    sono d’accordo sulla distinzione tra imposte e contributi, che va sicuramente valutata attentamente.
    Ma non condivido alcune premesse del tuo articolo che  incidono pesantemente sulle conclusioni. In particolare:
    1) la rivalsa INPS del 4% al di là di non essere sempre applicabile (io non l’ho mai potuto fare ad esempio), accresce comunque il reddito imponibile, quindi incide negativamente sulle imposte dovute;
    2) l’irap viene pagata da molti professionisti e viceversa ci sono attività d’impresa che non necessariamente la pagano
    3) la forma di impresa, quale che sia, non avviene a tassazione invariata, come prevede l’esempio. Le diverse forme possono anche implicare una tassazione minore/maggiore del reddito

    7 Gen 2013
  4. Silvestro De Falco

    Reply

    Cara Anna,

    Il punto fondamentale dell’articolo è proprio quello di evidenziare che non tutti gli esborsi costituiscono spesa e non tutti i risparmi di cassa sono vantaggiosi. Quindi, sotto questo aspetto, sono contento che sia passato il messaggio sulla differenza fra imposte e contributi.

    Per il resto, tutto dipende dalle circostanze personali ed è per questo che la lista dei fattori da considerare è innumerevole. Avrai notato peraltro che non sono comprese le spese di registro per la s.a.s. o le spese che si pagano al commercialista per la dichiarazione dei redditi della s.a.s. e quella dei soci o per la formazione del bilancio della s.a.s., nel caso in cui vi fossero obblighi in tal senso.

    Circa l’IRAP, tieni presente che qui si parla del professionista che lavora da solo, che non ha un’organizzazione autonoma (l’organizzazione autonoma è il discrimine). La circolare 45/E del 13 giugno 2008 dell’Agenzia delle Entrate su questo è chiara: il professionista che non ha organizzazione autonoma, e fa anche un uso occasionale delle prestazioni altrui nel campo in cui opera, non è tenuto a pagare l’IRAP. La giurisprudenza in materia conforta abbondantemente questi principi.

    Per quanto riguarda le imprese commerciali, queste sono tenute a pagare l’IRAP. Tanto è vero, che si era proposto per l’ultima Legge di Stabilità di eliminare l’IRAP per imprese commerciali con meno di 10,000 euro di attrezzature.

    Ad ogni modo, lo schema che ho proposto vuole semplicemente invitare chi si prepara a compiere questa transizione a farsi bene i conti. Tutto qui.

    Anzi, se qualcuno/a di buona volontà che ha fatto il passo ci facesse vedere come ha fatto i calcoli alla luce di questo schema, non farebbe altro che arricchire il sito e dare a tutti quelli che lo desiderano una prospettiva più ampia.

    8 Gen 2013
  5. Secondo

    Reply

    Caro Silvestro,
    ho capito il senso del tuo articolo e ti ringrazio.
    prendo spunto dalla discussione successiva per dire che io sono un professionista con P.IVA, lavoro da solo, ufficio a casa e sensa nessuna stabile organizzazione. Nonostante la Circolare indicata e alcune sentenze a favore del professionista riguardo al fatto di non dover pagare l’IRAP, io fino ad ora l’ho sempre pagata, su consiglio anche del mio commercialista, il quale mi ha suggerito questa soluzione. Solo successivamente, se lo ritengo conveniente, dar vita eventualmente al contenzioso con l’Agenzia delle entrate (posso dire comunque che conosco tanti colleghi che fanno altrettanto cioè pagano l’IRAP).
    Nel tuo esempio e nella tua risposta ad Anna mi sembra di capire che dai per scontato che l’IRAP non la si deve pagare.
    Ecco, invito chi ha qualcosa da dire al riguardo di farlo perchè credo sia un argomento molto dibattuto fra i professionisti con P.IVA.
    Un saluto di Buon Anno a tutti.

    9 Gen 2013
  6. Marcello

    Reply

    Io porto la mia esperienza riguardo all’IRAP.
    Professionista con PIVA che lavora da solo in ambito IT, prevalentemente dal cliente.
    Il mio commercialista mi ha consigliato di :
    1) Chiedere rimborso IRAP in quanto non dovuta
    2) Non pagare più IRAP

    Dopodichè per un problema di compensazione tra tributi vari, ho dovuto chiarire all’agenzia delle entrate il fatto del non pagamento dell’IRAP.
    Una volta avuta ragione, ho dato vita al contenzioso per il rimborso e ho avuto in dietro quanto versato negli anni precedenti.

    10 Gen 2013
  7. Silvestro De Falco

    Reply

    Caro Secondo,
    grazie per il tuo intervento.
    Qualsiasi cosa dica in merito all’IRAP non potrei essere più chiaro di quanto sia detto nella Circolare stessa dell’Agenzia delle Entrate.
    Se posso condividere la mia esperienza, la decisione di smettere di pagare è personale. Io ti posso dire che ci sono commercialisti che quella circolare non la conoscono nemmeno o non sono sufficientemente addentro al tema. Altri che sono a conoscenza delle problematiche addirittura consigliano di pagare e poi di chiedere il rimborso.
    Io mi attengo alla Circolare e ho smesso di pagare da alcuni anni.
    Per quanto riguarda i rimborsi, sono in fase di appello perché chi ha curato la mia pratica ha omesso di inviare una notifica e quindi la commissione tributaria provinciale ha dichiarato il mio ricorso inammissibile. Inammissibile per un vizio di forma, quindi, non per il merito. Avrei qualcosa da ridire sul fatto che lo Stato si appella ai vizi di forma,come un qualsiasi privato che fa appiglio su qualsiasi cosa per separarti dai tuoi soldi e non agisce come un ente superiore che dovrebbe guadagnarsi il rispetto, se non l’affetto, dei suoi cittadini perché amministra la giustizia come un buon padre di famiglia, ma questo è un altro discorso.

    10 Gen 2013
  8. Mico

    Reply

    Silvestro,

    estremamente interessante la tua analisi.
    Grazie, quando le cose sono fatte con cura, sono di grande beneficio per tutti.

    Sono libero professionista (consulenza-formazione) con P.IVA e mi trovo proprio nella condizione di valutare l’eventuale costituzione della sas (con mia moglie).

    Elemento cardine della tua accurata analisi è il postulato per il quale la sas dovrebbe SEMPRE E COMUNQUE pagare l’IRAP. Puoi confermare questo punto, anche alla luce dei dubbi sollevati da Anna Soru ?

    E inoltre, altra domanda: il reddito generato dalla sas potrebbe essere suddiviso tra i due soci (accomandante e accomandatario) in percentuali diverse rispetto al 50-50 ?

    P.S. sono professionista senza stabile organizzazione da tre anni, lavoro da casa, non ho mai pagato l’IRAP.

    Grazie mille,
    Mico

    15 Gen 2013
  9. Silvestro De Falco

    Reply

    Caro Mico,
    grazie per il tuo commento.
    Premesso che un commercialista ti potrà dare con certezza le informazioni che chiedi, per quello che ho potuto constatare le imprese commerciali sono tenute a pagare l’IRAP sempre e comunque.
    Diverso è il caso degli agenti di commercio, che sono iscritti alla gestione commercianti e versano contributi previdenziali pari al 21,39%, alla stregua degli accomandatari di una sas; questi ultimi non sono tenuti a pagare l’IRAP se privi di organizzazione autonoma.
    Quindi se qualcuno iscritto alla gestione commercianti ti dice che non paga l’IRAP è perché, con tutta probabilità, è un agente di commercio.
    Per quello che ne so io, i due soci di una sas possono avere quote diverse dal 50-50; ciò sembra confermato anche dal fatto che gli articoli del codice civile sulla sas – 2313- 2324 cc – non contengono divieti in tal senso.
    Ti prego di prendere queste come indicazioni di massima.

    16 Gen 2013
  10. Sconcertato

    Reply

    Grazie Silvestro,

    davvero molto gentile.

    Mico

    16 Gen 2013
  11. punk77

    Reply

    Per ontribuire, secondo la Cgia di Mestre, le imprese individuali ed i liberi professionisti senza dipendenti con una dotazione minima di beni strumentali non saranno più chiamati a pagare l’Irap.

    16 Gen 2013
  12. homepage

    Reply

    Unе fois de plus un аrticle assurément instructif

    8 Mag 2014

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Considerazioni sulla convenienza fra gestione separata e gestione comm…

di Silvestro De Falco tempo di lettura: 3 min
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