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Assenti al tavolo, ma foraggiatori della mensa

4 Aprile 2012 Diritti, Lavoro, Vita da freelance

Per noi che siamo elettori di sinistra, di destra e di centro, e cerchiamo da tempo, faticosamente e in prima persona, di costruire una rappresentanza efficace e degna di noi, che – si è già detto – non può coincidere con quella sindacale, vedersi ignorati persino dal governo dei tecnici è quasi paradossale.

Prima di tutto perché l’attuale governo tecnico è per definizione un governo transitorio, potremmo quasi dire occasionale. Ovvero risponde a una domanda temporanea e/o sussidiaria di competenze. Non ci serviamo forse, in questa particolare congiuntura, di un pool di professionisti dotati di professionalità particolari e selezionate, che ci conducano a determinati obiettivi? Possiamo forse additarlo come bizzarro parallelo della nostra stessa condizione professionale, almeno dal punto di vista della tipologia di prestazione, in rapporto a un determinato orizzonte di tempo.

Secondariamente perché da ministri non politicizzati ci si aspetterebbe, prima ancora che una mediazione di contrapposizioni ideologiche, una presenza globale, realistica, imparziale, prospettica, interprete della realtà. Una presenza che, se possibile, individui quali sono le forze del mercato del lavoro, le spinte concrete, e vi introduca delle leve positive, degli enzimi auspicabili. In pratica: ciò a cui si tende, ciò che già empiricamente funziona, andrebbe ancor più incentivato e reso plausibile, e semmai ribilanciato sul fronte dei diritti, delle manchevolezze e ipocrisie (da parte dello stato, innanzitutto, prima ancora che delle imprese).

Il nostro è un caso, sono tanti casi, in cui lavoratori e committenti sono allineati, facendo convergere le proprie esigenze in modo simmetrico: il sistema produttivo richiede flessibilità, che noi offriamo. Volenti (gli autonomi “veri”) o reluttanti (i cosiddenti “finti”), noi questa flessibilità la offriamo. Purtroppo però non c’è ancora alcuna sincera intelligenza di questa situazione, che è empiricamente virtuosa, ma resta retrograda e fallimentare sul fronte dei diritti basilari. Intendo empiricamente virtuosa in senso lato, come funzione omeostatica a dispetto del patrimonio normativo di tutele. Non ha senso che chi si metta (o si trovi) a disposizione come autonomo – assumendosi in proprio i rischi delle fluttuazioni del mercato, nonché un pesantissimo fardello contributivo – sia la parte più fragile e più penalizzata del campo. E tantomeno avrebbe senso accanirsi a gravare su questa parte, pretendendo da lei fardelli ancora più pesanti (ipotesi rispetto alla quale saremmo pronti a opporci con ogni iniziativa possibile).

Sto ponendo un tema che sta ancora prima dell’individuazione delle false partite iva (tema per cui auspico tutte le più che legittime sedi e su cui ACTA, per sbrogliare qualche equivoco, ha già espresso alcune importanti considerazioni), e che si pone ancora prima della questione sull’art. 18. Voglio dire, per assurdo: se la condizione dei nuovi autonomi non fosse così penalizzante e discriminata, forse i lavoratori stessi che sono in condizione di farlo, per i ruoli che lo consentono, la assumerebbero più volentieri di propria iniziativa, senza subirla. Si tratterebbe di riconoscere loro finalmente, senza ipocrisie, una cittadinanza piena e paritetica rispetto a tutti gli altri lavoratori, storicamente riconosciuti. Non si risolverebbero così, come ricaduta positiva, una serie di altri problemi? Magari facendo in parte evaporare anche il tema della partita iva “subìta” o quello della flessibilità “cattiva”?

E invece si torna sempre lì: per avere diritti dovremmo essere subordinati. Come dice Dario Banfi, nella sua intervista di qualche settimana fa “Manifesto”:

Un riformismo reale dovrebbe invece sganciare i diritti dai vincoli della subordinazione.

Tutte le partite iva di nuova generazione sono attori forti quanto all’offerta di lavoro (i nostri numeri parlano chiaro, e c’è un rischio di stima al ribasso) e attori certi quanto alla contribuzione perché, lo ripetiamo, in qualità di fornitori delle imprese non hanno alcuna occasione di evasione. Sono tuttavia debolissimi quanto alla capacità di negoziazione, al sostegno da parte del welfare e al riconoscimento generale. Lavorano senza possibilità di una vera rivalsa contributiva sul committente, di cui spesso fungono da finanziatori liquidi, assumendosi un notevole carico amministrativo e burocratico, con un rientro previdenziale incerto e ridicolo, e un ritorno assistenzialistico finora quasi nullo.

Ritornando alla manovra. La condizione dei lavoratori a partita iva – che la si subisca, la si scelga o la si tolleri –  non può essere risolta per così dire “in contumacia”, senza il nostro apporto e contributo. Capiamo benissimo quanto sia difficile distinguere tra autonomi veri, finti, ordinistici, non ordinistici, giovani, seniores, necessari, flessibili, precari, monocommittenti, strutturati, parasubordinati, volontari o ricattati. Per questo decidiamo di devolvere una grossa quota di tempo – tempo volontario sottratto ad altro, non delegato, oserei dire tempo “civico” – per portare alla luce la nostra condizione, consapevolizzare i media e l’opinione pubblica, aggregare individualità separate e lontane, in una prospettiva anche internazionale, elaborare proposte e soluzioni, scongiurare vessazioni ulteriori e ulteriormente inibitorie.

Assenti al tavolo, ma foraggiatori della mensa. Così ci sentiamo noi, contribuenti della ricca Gestione Separata, autonomi troppo spesso classificati come residuali (non lo fate apposta, vero?), eppure così importanti nel sostegno contributivo e nella funzione assolta nel mercato del lavoro. Ma “separata”  è piuttosto la contrattazione, la formulazione di una riforma auspicabile, finché si determini senza di noi.

Antonella Gallino

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3 Commenti

  1. Marco

    Reply

    Certo che questa riforma ci pone non pochi interrogativi per il nostro futuro; o accettiamo di non lavorare più continuativamente, con conseguente perdita di reddito, o ci facciamo assumere, ma senza la possibilità di contrattare lo stipendio, quindi accettando quello (poco) che ci offriranno, in quanto non avremmo potere contrattuale, o cambiare forma sociale, magari unendoci con altri autonomi e fondando piccole società, ma con il rischio, come per il caso dell’assunzione, di perdere i contributi versati nella gestione separata, forse sono malpensante ma mi sembra che questa idea a qualc’uno sia passata per la testa.
    Penso sia giunto il momento che anche noi ci facciamo sentire.
    Magari organizzando una bella manifestazione, oppure mandando, ognuno di noi una mail al Ministro del welfare ed l Presidente del Consiglio, per far vedere, prima di tutto quanti sono gli autonomi “VERI” e secondo che i non siamo dei bancomat con il quale risanare i problemi del paese, e per giunta anche evasori fiscali.

    5 Apr 2012
  2. nikema

    Reply

    qualcosa va fatto, non è possibile stare zitti

    5 Apr 2012
  3. Paola

    Reply

    Nel 2009, quando era alle porte la minaccia di un aumento dell’aliquota molto più modesto di quello annunciato in questi giorni, fummo in tanti a scatenare un fitto invio di mail agli indirizzi degli onorevoli, ai componenti delle Commissioni Lavoro, ecc. Ci risposero in molti, mostrando di non essere insensibili al tema. Non ripeterei però l’esperienza. Ora stiamo attendendo che si formi una volontà “di massa” di persone consapevoli, disposte ad approfondire e soprattutto ad agire. L’opera di comunicazione che è stata fatta finora è stata encomiabile, ma alla resa dei conti non è stata sufficiente. Questo non va ad onore dei nostri governanti, temporanei o permanenti che siano, perché dimostrano sempre di andare a ricercare risorse economiche dove da tempo si dice loro che non ci sono, commettendo un peccato di ingiustizia economica, sociale e morale. Il sondaggio IRES-CGIL nel 2010 ha già dimostrato che quasi il 50% dei professionisti indipendenti GS ha un reddito inferiore alla soglia di sopravvivenza (se volete vi indico i numeri esatti). E se proprio i governanti sono convinti che vi siano professionisti autonomi dell’INPS ricchi, almeno potevano stabilire una soglia di reddito oltre la quale applicare l’aumento contributivo. Ma niente neanche su questo fronte, alla faccia della tanto sbandierata equità, Ministro Fornero! Alcune iniziative che sono state già proposte sono 2 mega-assemblee a Roma e a Milano: per aderire basta iscriversi qui: https://www.facebook.com/groups/234955726534289/doc/401926299837230/

    6 Apr 2012

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Assenti al tavolo, ma foraggiatori della mensa

di Antonella Gallino tempo di lettura: 3 min
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