Argomenti

Articoli recenti

Sostieni ACTA

Fai valere i tuoi diritti di freelance! Sostieni Acta e assicurati un futuro lavorativo migliore grazie a vantaggi, convenzioni e maggiori tutele.

Un grido di frustrazione

23 Gennaio 2012 Previdenza, Vita da freelance

Ieri è apparsa questa lettera sul Corriere della Sera:

Scrivo riguardo alle nuove norme fiscali, che ci dicono essere “eque”, sulla gestione separata e sugli amministratori di società di capitale.
Siamo 3 soci/amministratori/lavoratori di 57 anni di una società che dopo aver avuto 4 dipendenti in cassa integrazione in deroga per quasi tutto il 2011, il 31 dicembre 2011 siamo stati costretti a licenziarli perché da tempo non abbiamo più il lavoro.
Nel 1995, con la riforma delle pensioni, fu creata la gestione separata per chi, come noi, non aveva un fondo per la pensione. Ne fummo contenti e accettammo anche i continui aumenti dell’aliquota dei contributi nella speranza di avere una pensione dignitosa. Io ho aderito anche al riscatto dei 5 anni precedenti per lo stesso motivo. A gennaio 2011 è stata abbassata di circa mezzo punto l’aliquota di retrocessione della pensione contributiva, quella di tutti noi della gestione separata che non ha nessuno in pensione, e soltanto qualche voce si è innalzata per segnalare l’accaduto ma è stata subito soffocata perché noi siamo “terreno di conquista”. Ora i cinque anni riscattati prima del 1996 non sono utili per il raggiungimento del requisito dell’età per la pensione; invece è rimasto un diritto per tutti quelli che hanno riscattato la laurea, come se i diritti acquisiti fossero diversi e forse lo sono veramente perché siamo “persone che non contano”.
In un opuscolo ho letto che le indennità di fine rapporto degli amministratori di società di capitale (la nostra è una Srl) saranno tassate secondo gli scaglioni di reddito, senza nessun limite come invece è per i grandi manager che pagherebbero soltanto oltre la soglia di un milione di euro. La norma è indicata al comma 31 dell’art. 24 della legge “SalvaItalia”. Se è vera l’interpretazione data da quella pubblicazione, noi (come tanti altri piccoli imprenditori) – che non abbiamo avuto accesso a un posto pubblico, che abbiamo pagato tutte le tasse (anche di più di quello che era lecito perché non siamo dei “volponi”), che non possiamo protestare perché abbiamo i nostri figli laureati che si stanno affacciando nel mondo del lavoro (e preghiamo Dio che almeno loro possano trovarlo) e che avevamo la certezza che la nostra pensione sarebbe stata di basso importo – abbiamo cercato di accantonare qualcosa, notevolmente inferiore al milione di euro, da utilizzare come liquidazione per integrare le pensione. Ora ci troviamo a sostenere lo Stato italiano più dei grandi manager e di tanti altri, perché loro pagheranno le imposte sull’eccedenza al milione di euro. In questo mondo dove tutti desiderano andare in televisione per esternare il proprio sapere e farsi ammirare per la propria immagine, possibile che non ci sia nessuno che sappia prendere le difese di chi non ha visibilità, di chi soffre in silenzio, di chi si rimbocca le maniche facendo anche lavori più umili per mandare avanti la baracca? Possibile che in questa Italia non ci sia qualcuno che sappia vedere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, che cosa è equo e che cosa non lo è, e che sappia scrivere le leggi in modo corretto?”
Giulio De Santis (imprenditore senza più impresa), Perugia”.

Se c’era una cosa positiva che aveva la gestione separata prima del decreto SalvaItalia – al netto dell’odiosa finestra, dei bassi rendimenti e delle distorsioni fiscali a favore delle assicurazioni private – era la possibilità di poter cominciare a incassare la pensione a 57 anni, con almeno cinque anni di contributi effettivamente versati e a condizione di aver maturato un montante di circa 147.000 euro, ossia un importo che dopo l’applicazione del coefficiente di conversione si sarebbe tradotto in una somma pari a 1,2 volte l’assegno sociale.
Anche se non eccessivamente alta, questa sarebbe stata una discreta forma di sostegno al reddito, molto utile soprattutto per chi si trova in condizioni di difficoltà.
Voglio ricordare che non si faceva un regalo a nessuno, perché con il contributivo il beneficiario riceve esattamente quello che ha versato.

Ora invece, con il decreto SalvaItalia, si devono avere almeno 20 anni di contributi, almeno 62 anni di età e l’importo della pensione deve essere pari a 1,5 volte l’assegno sociale, or 8.143 euro all’anno, ossia è necessario avere un montante di circa 160.000 euro a 62 anni, circa 155.00 a 63 anni, circa 150.00 a 64 anni, circa 145.000 a 65 anni. In mancanza di una sola di queste tre condizioni si deve aspettare di compiere 70 anni.

Caro signor De Santis, facciamo nostra la sua invocazione.

Correzione 1 febbraio 2012

Mi devo scusare con i lettori di questo post perchè ho commesso errori che ne inficiano il senso.

1)      Ho scritto che in precedenza si poteva andar in pensione a 57 anni a condizione che si fosse maturata una pensione mensile pari ad almeno 1,2 volte l’assegno sociale. Non è vero. Questo requisito era stato elevato a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini con la legge 23 agosto 2004 n. 243 (comma 7 b)),

2)      Ho scritto che con il decreto “SalvaItalia” chi è iscritto alla Gestione Separata può andare in pensione a 62 anni.   Non è vero. Chi è iscritto alla Gestione Separata può andare in pensione a 66 anni (articolo 24 commi 6 e 7 del decreto SalvaItalia).

Silvestro De Falco

ARTICOLI CORRELATI

3 Commenti

  1. Giusi

    Reply

    Le invocazioni, come è noto, non ottengono niente.

    24 Gen 2012
  2. luca

    Reply

    Io di quest’unica cosa buona della gestione separata (possibilità, a determinate condizioni, di andare in pensione a 57 anni)non ne parlavo per scaramanzia, ma ci contavo. Ora ci aspettano almeno 10 anni di lavoro in più! Ma sui media si sono raccontate altre storie: le ns. non c’erano. Tra l’altro per chi “gode” del metodo contributivo puro tutto questo non ha nessuna coerenza e persino la ministra Fornero lo ha più volte affermato.
    E’ stato un colpo durissimo, una “martellata” che ha completamente distrutto l’unica caratteristica non punitiva, non da “apartheid”, della G.S. La ns. capacità di influenzare lo stato delle cose, lo dico in termini di AUTOCRITICA, è molto scarso.
    Il prossimo capolavoro, fortemente sollecitato dai sindacati e dalla “sinistra”, sarà il provvedimento “anti” monocommittenza: ma chi lo dice che tutte le partite iva che hanno avuto nell’anno un solo committente, debbano necessariamente essere finti dipendenti? Io lavoro da più di 20 anni e mi è capitato varie volte. Saranno o no cazzi miei? E perchè tutti hanno voce in capitolo su queste problematiche meno che noi che siamo i diretti interessati?

    24 Gen 2012
  3. Manuel

    Reply

    @Luca

    Da quando ho iniziato la libera professione (di mia spontanea volontà, licenziandomi da un impiego di dipendenza a tempo indeterminato), ho sempre lavorato quasi esclusivamente per un unico cliente. Si tratta di un bravo commerciale – campo in cui io non eccello – che fornisce servizi IT tramite alcuni dipendenti che mi procaccia i clienti per delle consulenze software, prendendosi ovviamente il suo ricarico. Ma i clienti restano suoi, ed infatti le mie fatture le emetto a lui.

    Di fatto per il fisco sono un monocommittente, ma non sono né voglio essere un dipendente.

    25 Gen 2012

Lascia un commento

Un grido di frustrazione

di Silvestro De Falco tempo di lettura: 3 min
3