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NEET fannulloni. Una lettura superficiale per non affrontare la disoccupazione giovanile

22 Luglio 2011 Lavoro

Se ne parla con sempre più enfasi, soprattutto dopo che il Rapporto annuale ISTAT 2011 ha certificato la loro crescita. I giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione (NEET sta infatti per not in education, employment or training) in Italia nel 2010 sono 2.110.000 tra i 15 e i 29 anni, 134.000 più dello scorso anno (+6,8%). Un numero elevatissimo se si considera che gli occupati sotto i 30 anni sono 3.274.000.

Dentro la definizione NEET convivono due tipologie: i disoccupati che in Italia hanno un’incidenza analoga a quella UE, e gli inattivi, che invece sono molto più numerosi (13,5% in Italia, contro il 7,7% UE) . Su questi in particolare è stato lanciato l’allarme.

Con l’indagine demoscopica sulle famiglie, l’ISTAT ci dà anche qualche altra informazione: i NEET dedicano più tempo alle attività fisiologiche (dormire, mangiare e lavarsi) e al tempo libero (3 ore e 37 minuti più degli occupati e 1 ora e 57 minuti più degli studenti), ma vanno meno a teatro e al cinema, leggono di meno, navigano meno su internet, sono meno soddisfatti delle relazioni amicali, della famiglia e della situazione economica rispetto a studenti e occupati.

E a questo punto le analisi “sociologiche” sulla stampa si sprecano e ci restituiscono l’immagine di giovani apatici, fannulloni e bamboccioni. Così l’Espresso (14 luglio 2011) con l’articolo “Vita da NEET” di Sabina Minardi, il cui incipit è

Non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere. Non fanno sport, non vanno al cinema, non leggono un libro. Dormono a lungo. Abitano a casa dei genitori. Vivacchiano rassegnati. Solo che a trascinarsi nella totale apatia, incapaci di immaginare oltre il presente, non sono gli inconcludenti protagonisti di tanti film o di romanzi sui “teenager per sempre”(…)

Mentre Arnaldo Greco in La Repubblica delle Donne in “La rivincita dei NEET” ci racconta le storie “emblematiche” di cinque (anonimi) ragazzi che vivono a spese della famiglia (una del marito) e passano le giornate davanti al computer, cercando modi per non annoiarsi, senza aspettative o nell’attesa che improbabili occasioni di lavoro bussino alla loro porta.

Un’impostazione che si  ritrova anche in un sito di studenti , come Orizzonte Universitario, in cui si legge:

Essi “scelgono” di non studiare, e lasciando gli studi superiori con il benestare o, forse, tra la rassegnazione dei genitori, che non si curano del perché i propri figli stiano tutto il giorno chiusi in camera a chattare con i loro amici. Il lavoro i Neet non lo hanno, perché non lo cercano. Sono i veri “bamboccioni” brunettiani. Non possono accedere a molti dei profili occupazionali esistenti perché questi ragazzi e ragazze sono sprovvisti di qualifiche. Spesso sono introversi, annoiati. Alcuni li si riconosce per capigliature bizzarre e stravaganti. Per il resto, sonnecchiano. Anche da svegli. Un Paese come il nostro con due milioni di sfaccendati non è un Paese in imminente pericolo. Perlomeno oggi. Non perché questi giovani, diseducati e illusi da telefilm e serie TV che descrivono storie di eterni teenager, vampiri fascinosi, coetanei spensierati, porteranno la vera crisi tra 10 o 15 anni, quando cioè saranno troppo vecchi anche per i lavori più umili, meno qualificati, e saranno anche poco maturi per potersene inventare di nuovi. Quando la loro unica forma di sostentamento (mamma e papà) verrà a mancare, saranno dei trentenni e dei quarantenni senza lavoro, alcuni senza una casa e tutti senza la prospettiva di una pensione, perché ancora giovani non hanno riflettuto sul fatto che 30 (anni) è la metà di 60…
Una pensione, ovvero un contributo esiguo, ma tutt’altro che inutile per sopravvivere quando non solo non si può più lavorare, ma non si possono fare da soli molte cose.

A parte il fatto che il copyright di bamboccioni è di Padoa Schioppa e non di Brunetta e che nessuna indagine ci informa sulle capigliature dei NEET, viene da dire “cornuti e mazziati!” .

Una generazione che deve affrontare la letale combinazione di scarse opportunità, redditi bassi, flessibilità massima, costi contributivi elevati e nessun welfare, viene anche tacciata di essere apatica e  indisponibile al lavoro!

Eppure è sufficiente guardare con un po’ di attenzione il rapporto dell’ISTAT per scoprire che i giovani sfaccendati non sono certo 2.110.000. Facciamo un po’ i conti:

  • I NEET disoccupati sono complessivamente 729 mila, ma non possiamo definire fannullone chi non trova un lavoro.
  • tra gli inattivi ci sono anche gli scoraggiati, ovvero quelli che non hanno fatto un’azione di ricerca nell’ultimo mese semplicemente perché sanno che non ci sono possibilità, ma che sarebbero comunque pronti a lavorare se ci fosse l’occasione e che sono 746 mila. Anche questi li si dovrebbe considerare disoccupati, non scansafatiche.
  • I non disponibili sono invece 635 mila, di cui 173 mila uomini e 461 mila donne, che in gran parte (279 mila)  hanno una famiglia da accudire e che non possono proprio essere annoverate semplicemente tra i fannulloni. L’area dei potenziali sfaccendati scende così a 356.000 (2.110.000- 729.000 disoccupati- 746.000 scoraggiati- 279.000 donne con famiglia).
  • Ci sono regioni in cui la quota di inattivi è straordinariamente elevata rispetto ai disoccupati, e guarda caso si tratta di Campania, Calabria, Puglia, Sicilia, ovvero di regioni in cui il lavoro sommerso è particolarmente diffuso (secondo stime SVIMEZ riportate nel rapporto sul mercato del lavoro 2010-2011 del CNEL il tasso di irregolarità, ovvero la percentuale di lavoro nero sull’occupazione regolare è pari al 18,8% al Mezzogiorno, contro il 9,7% al Centro-Nord). Possiamo ipotizzare che una parte significativa degli inattivi in realtà lavori in nero.  I giovani 18-29 anni occupati in Italia sono 3.274.000, se per loro l’incidenza del lavoro irregolare è quella media (10,5%), possiamo stimare che 343.770 lavorino in nero.  Un numero che potrebbe distribuirsi tra tutti gli inattivi (anche tra gli scoraggiati) e che pertanto non si può portare interamente in deduzione dai 356.000 di cui sopra, ma che certamente contribuisce a circoscrivere ulteriormente il fenomeno. L’ipotesi che molti inattivi abbiano un lavoro irregolare è corroborata dal dato rilevato dall’indagine sulla soddisfazione rispetto al tempo libero: gli inattivi dichiarano un livello di soddisfazione del tempo libero molto vicino a quello degli occupati, più basso rispetto a disoccupati e studenti.

Due milioni  e centomila giovani che non hanno un lavoro regolare sono comunque un grande problema, che chiama in causa politici sindacati e imprese. Lo stereotipo dei NEET fannulloni serve a non affrontarlo.

Anna Soru

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2 Commenti

  1. famiglia palumbo matera

    Reply

    per iproblemi con gli ambiti come risolverli

    17 Feb 2012

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di Anna Soru tempo di lettura: 4 min
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