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Chi rappresenta i lavoratori autonomi nella crisi?

22 Dicembre 2010 Lavoro

Il mercato del lavoro italiano si attesta a 22.882.000 occupati. Il 74,5% è costituito da occupati dipendenti e il restante 25,5% da indipendenti (dati ISTAT primo semestre 2010). Il problema di quei 5,8 milioni di “indipendenti” è che appartengono a una galassia che mette insieme Marchionne e il Co.Co.Co., l’agricoltore e lo stilista, l’artigiano e il notaio, il bottegaio e il Web designer, il muratore e il presidente di banca, l’idraulico e l’estetista, il fotografo e l’imbianchino, l’amministratore di multinazionale e il consulente della P.A. Una galassia troppo eterogenea perché possa riconoscersi in un interesse comune. Fin qui nulla di nuovo.

Dal dopoguerra in poi, forti di una gloriosa tradizione medioevale, i corpi intermedi si sono articolati in associazioni di categoria e in ordini professionali. Fino al 1989 hanno rispecchiato al loro interno i rapporti di forza determinati dalla guerra fredda, prevedendo una componente (maggioritaria) liberal-cattolica e una componente social-comunista. Queste associazioni, per oltre 4 decenni hanno cercato di rappresentare presso i governi gli interessi economici dei loro rappresentati. Oltre alla dimensione politica hanno sviluppato col tempo anche la capacità di erogare servizi ai propri associati, mentre la dimensione mutualistica veniva gradualmente trasferita alle istituzioni pubbliche del welfare state.

La vera e forse unica protagonista della rappresentanza politica dell’imprenditoria è sempre stata la Confindustria, in dialettica con le allora potenti rappresentanze dei lavoratori dipendenti, ma oggi, a oltre 20 anni dal crollo del muro di Berlino e a distanza di 2 anni dallo scoppio della grande crisi, nel sistema di rappresentanza del lavoro è cambiato qualcosa?

I piccoli (artigiani, commercianti e piccole imprese) si sono messi insieme in Rete Imprese Italia, la Confindustria subisce la minaccia di Marchionne di tornare alla contrattazione ad personam, la CGIL rischia di perdere la FIOM, la destra politica si è inventata l’UGL, i COBAS e CUB si rafforzano, gli ordini professionali rischiano di essere cancellati dalle norme europee. Seppure con molto ritardo, qualcosa si muove. Le Partita IVA – gli indipendenti che non sono rappresentati da queste associazioni – sono stati tra i primi ad accorgersi della inadeguatezza e per molti aspetti della dannosità del vecchio sistema di rappresentanza.

Rileggendo uno ad uno tutti i comunicati che le “Parti sociali” hanno emanato dopo lo scoppio della crisi del 2008, si ha la chiara consapevolezza della loro irrilevanza, non soltanto rispetto agli esiti della crisi (ovviamente), ma persino rispetto alla capacità di spostare di un millimetro il baricentro della politica economica e fiscale del governo. Rete Imprese Italia, più di Confindustria, si è distinta per ossequiosità verso il governo e incapacità di analisi. Vi sono due punti che hanno messo tutti d’accordo (Categorie, CGIL-CISL-UIL e Governo): gli ammortizzatori sociali e la bilateralità. Con i primi credono di aver messo un tappo alla crisi, con la seconda hanno garantito la sopravvivenza per le proprie strutture.

E i lavoratori autonomi? Quelli come sempre si devono aggiustare da soli. Deboli accenni alle responsabilità delle banche e l’illusione di risolvere il problema del credito mediante i Confidi (quando tutti sanno che il problema non sono i tassi, ma l’avversione al rischio da parte delle banche). Sul resto muti. Eppure i lavoratori autonomi si misurano ogni giorno con i problemi dell’Euro, toccano con mano i danni della globalizzazione, sentono sulla propria pelle la pressione fiscale più elevata al mondo, subiscono il crollo della domanda, lo smantellamento del welfare state e la mancanza di una indicazione politica sul come uscire da questa crisi.

Le scappatoie disponibili rimangono l’evasione fiscale e la protezione di privilegi corporativi. Ma quanti di quei 5,8 milioni di “indipendenti” si possono ancora permettere queste scappatoie? l’ISTAT, a questa domanda dovrebbe rispondere. Una delle novità di ACTA – che presenterà il suo manifesto il prossimo 12 gennaio a Milano – è di rappresentare proprio quella parte di lavoro autonomo che non può evadere (in ogni senso).

Tra i risultati di questa crisi vi sarà quello di ridisegnare il sistema della rappresentanza del lavoro. Perché per molti, le varie CNA, Confcommercio e Confindustria (oltre a CGIL, CISL, UIL e Ordini professionali), sono una palla al piede, una tassa in più da pagare per ricevere servizi né meglio né peggio di ciò che offre il mercato. L’incapacità delle categorie di fornire rappresentanza e direzione politica al lavoro autonomo, si aggiunge alla ben nota autoreferenzialità dei partiti politici. Perciò è inevitabile che nascano altre forme di aggregazione degli interessi e di rappresentanza politica del mondo del lavoro, auspicabilmente più efficaci delle attuali.

Romano Calvo

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di Romano Calvo tempo di lettura: 3 min
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